Così scorrevano i fiumi su Marte e Titano

Una nuova tecnica sviluppata dai geologi del Mit ha permesso di valutare l’intensità con cui scorrevano i fiumi su Marte e come scorrono attualmente su Titano, utilizzando osservazioni satellitari per stimare la velocità con cui spostavano fluidi e sedimenti a valle. Verificata sui fiumi terrestri, ha dato ottimi riscontri per Marte. Qualche perplessità su Titano, i cui fiumi non sembrano avere delta fluviali a ventaglio

Le immagini della missione Cassini mostrano reti fluviali che defluiscono nei laghi nella regione polare settentrionale di Titano. Crediti: Nasa/Jpl/Usgs Da quel che sappiamo, oltre che sul nostro pianeta, su altri due mondi del Sistema solare scorrono – o scorrevano – fiumi: Marte, dove solchi e crateri oggi asciutti sono ciò che resta di antichi fiumi e laghi, e Titano, la luna più grande di Saturno, solcato ancora oggi da corsi di metano liquido. Una nuova tecnica sviluppata dai geologi del Mit ha permesso di stimare l’intensità con cui scorrevano i fiumi su Marte e come scorrono attualmente su Titano, utilizzando osservazioni satellitari per stimare la velocità con cui spostavano fluidi e sedimenti a valle. Applicando questa tecnica, il team del Mit ha calcolato la velocità e la profondità dei fiumi in alcune regioni di Marte più di un miliardo di anni fa. Stime simili sono state fatte anche per i fiumi attualmente attivi su Titano, benché la densa atmosfera della luna e la sua distanza dalla Terra ne rendano più difficile l’esplorazione, con molte meno immagini disponibili della sua superficie rispetto a quelle di Marte. Lo studio è nato dalle perplessità di due autori, Taylor Perron e Samuel Birch, emerse quando hanno notato che le immagini scattate dalla sonda Cassini della Nasa dei fiumi di Titano mostravano una curiosa mancanza di delta a ventaglio alla foce della maggior parte dei fiumi lunari, contrariamente a quanto avviene sulla Terra. Potrebbe essere che i fiumi di Titano non trasportino abbastanza flusso o sedimenti per formare un delta? Il gruppo di ricercatori si è basato sul lavoro del coautore Gary Parker, che negli anni Duemila ha sviluppato una serie di equazioni matematiche per descrivere il flusso dei fiumi sulla Terra. Parker aveva studiato le misurazioni dei fiumi prese direttamente sul campo da altri ricercatori. Da questi dati, aveva scoperto che c’erano alcune relazioni universali tra le dimensioni fisiche di un fiume – la sua larghezza, profondità e pendenza – e la velocità con cui scorreva. Aveva quindi elaborato equazioni per descrivere matematicamente queste relazioni, tenendo conto di altre variabili come il campo gravitazionale che agisce sul fiume e la dimensione e la densità del sedimento spinto lungo il letto del fiume. Sulla Terra, i geologi possono effettuare misurazioni sul campo della larghezza, della pendenza e della dimensione media dei sedimenti di un fiume, che possono essere inserite nelle equazioni di Parker per prevedere con precisione la portata di un fiume o la quantità di acqua e sedimenti che può spostarsi a valle. Ma per i fiumi su altri pianeti le misurazioni sono più limitate, e si basano in gran parte su immagini e misurazioni di elevazione raccolte da satelliti. Per Marte, diversi orbiter hanno scattato immagini ad alta risoluzione del pianeta. Per Titano, le osservazioni sono poche e lontane tra loro. Birch si rese presto conto che qualsiasi stima del flusso fluviale su Marte o su Titano avrebbe dovuto basarsi sulle poche caratteristiche che possono essere misurate da immagini e topografia remote, vale a dire la larghezza e la pendenza di un fiume. Con alcuni ritocchi algebrici, ha adattato le equazioni di Parker in modo che funzionassero solo conoscendo larghezza e pendenza. Ha quindi raccolto i dati di 491 fiumi sulla Terra, ha testato le equazioni modificate su questi fiumi e ha scoperto che le previsioni basate esclusivamente sulla larghezza e sulla pendenza di ciascun fiume erano accurate. Quindi ha applicato le equazioni a Marte, e in particolare agli antichi fiumi che confluiscono nei crateri Gale e Jezero, che plausibilmente miliardi di anni fa erano laghi pieni d’acqua. Per prevedere la portata di ciascun fiume, ha considerato la gravità marziana e le stime della larghezza e della pendenza di ciascun fiume, basate su immagini e misurazioni dell’elevazione effettuate dai satelliti in orbita. Da sinistra a destra: il fiume Hólmkelsá vicino a Svöðufoss, in Islanda; vecchi canali fluviali sulla superficie del delta di Jezero, su Marte; e la Saraswati Flumen che scorre verso la costa del lago Ontario, su Titano. Crediti: Sam Birch (Islanda), Nasa/Jpl/University of Arizona (Mars), Nasa/Jpl-Caltech/Asi/Cassini Radar Team (Titano) Dalle previsioni sulla portata, il team ha scoperto che i fiumi probabilmente hanno continuato a scorrere per almeno 100mila anni al cratere Gale e almeno 1 milione di anni al cratere Jezero, abbastanza a lungo da poter sostenere la vita. Sono stati anche in grado di confrontare le loro previsioni sulla dimensione media dei sedimenti sul letto di ciascun fiume con le misurazioni sul campo dei sassi marziani vicino a ciascun fiume, condotte dai rover Curiosity e Perseverance della Nasa. Queste poche misurazioni hanno permesso al team di verificare che le loro equazioni, applicate a Marte, fossero accurate. Poi è stata la volta di Titano. Si sono concentrati su due posizioni in cui è possibile misurare le pendenze del fiume, tra cui un fiume che sfocia in un lago delle dimensioni del lago Ontario, che sembra effettivamente formare un delta quando si immette nel lago. Tuttavia, questo delta è uno dei pochi che si pensa esistano sulla luna: quasi ogni fiume che si vede scorrere in un lago di Titano è infatti misteriosamente privo di un delta. Il team ha quindi deciso di applicare il metodo a uno di questi fiumi senza delta. Hanno calcolato il flusso di entrambi i fiumi (con e senza delta) e hanno scoperto che potrebbe essere paragonabile ad alcuni dei più grandi fiumi della Terra con delta, con una portata stimata confrontabile a quella del Mississippi. Il team ha anche valutato che i fiumi su Titano dovrebbero essere più larghi e avere una pendenza più dolce rispetto ai fiumi che trasportano lo stesso flusso sulla Terra o su Marte. Ciò che hanno trovato è che entrambi i fiumi dovrebbero spostare abbastanza sedimenti per creare una foce a delta. Ma non è quello che si vede. La maggior parte dei fiumi su Titano non ha depositi a ventaglio. È chiaro quindi che ci dev’essere qualcos’altro all’opera sulla luna di Saturno per spiegare questa mancanza di depositi fluviali. Bisogna certamente continuare a indagare. In questo ci aiuterà senz’altro Dragonfly, la nuova missione della Nasa che nel 2027 partirà con l’obiettivo di esplorare proprio quel mondo, Titano. Sfruttando la bassa gravità e la densa atmosfera della luna, volerà da un posto all’altro come una libellula. Allora, forse, con molte più osservazioni da usare come input per la tecnica dei ricercatori del Mit, potremo finalmente capire perché la luna di Saturno manca di depositi fluviali.

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