Mutui tasso euribor illecito? Le novità della Cassazione

Chi ha contratto un mutuo o un finanziamento a tasso variabile basato sull’Euribor e nel periodo 29 settembre 2005 / 30 maggio 2008 ha pagato le rate, potrebbe avere diritto a un rimborso. Una recente ordinanza di Cassazione (34889/2023), rifacendosi ad una pronuncia dell’Antitrust europeo, ha stabilito che alcuni istituti di credito avessero manipolato questo tasso (1)

I legali di Aduc hanno già avviato alcune pratiche che, dopo l’iniziale fase di diffida ad adempiere verso l’istituto, stanno proseguendo per via giudiziale. Nel frattempo è intervenuta una nuova pronuncia di Cassazione, che non si esprime su un fatto specifico ma cerca di fare dottrina. Principi di diritto che, a nostro avviso, potrebbero essere funzionali per meglio affrontare la vicenda: non è detto che le clausole dei contratti con l’uso del tasso Euribor di quel periodo siano di per sé illecite, ma la manipolazione rispetto al contratto va provata. Per questo abbiamo redatto una lettura e approfondimento su questa nuova pronuncia, che invitiamo a leggere con attenzione. La consapevolezza non è mai troppa, ma necessaria per migliori azioni e risultati.

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1) Premessa

La Corte di Cassazione torna sulla questione della nullità della clausola relativa al tasso di interesse Euribor avuto riguardo all’intesa restrittiva della concorrenza così come dichiarata dalla Decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013 che ha accertato l’illegittima operatività di un cartello tra alcune banche europee volto alla manipolazione del tasso Euribor nel periodo compreso tra il 29 settembre 2005 ed il 30 maggio 2008 (gli Istituti di credito menzionati nel documento della Commissione sono: Barclays, Deutsche Bank, Société Générale ed il gruppo Royal Bank of Scotland). E’ un tema di strettissima attualità che ha diviso non pochi interpreti del diritto offrendoci la possibilità di confrontarci su punti di vista interessanti e, perlomeno ad avviso dello scrivente pur se in taluni casi distanti tra loro, ugualmente meritevoli. La decisione in commento, RG 12007/2024 del 5 Marzo 2024, è di particolare interesse poiché la Terza Sezione, non nuova a delle apprezzate e pregiate ricostruzioni in diritto sceglie di pronunciarsi esercitando il bellissimo “potere” riconosciuto ai Giudici della Cassazione di “fare il diritto”, ex. art. 363 cpc. giacché la questione Euribor pur se richiamata nel ricorso in Cassazione relativo al caso oggetto dell’esame dei Giudici non vi rientrerebbe poiché sollevata dal ricorrente in maniera non opportuna a dargli svolgimento. Tuttavia i Giudici precisano che: “La Corte ritiene, peraltro, che il motivo in questione abbia ad oggetto una questione di particolare importanza e vi siano, quindi, le condizioni per pronunciare in proposito i principi di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c.: istituto che è ricostruito quale espressione della funzione di nomofilachia e comporta che – in relazione a questioni la cui particolare importanza sia desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto – la Corte di cassazione possa eccezionalmente pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili (per tutte, v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 27187 del 28/12/2007, Rv. 600347 – 01)”. Proseguono quindi gli ermellini avendo cura di sottolineare che: “L’odierna trattazione in pubblica udienza risulta, infatti, fissata proprio in considerazione del rilievo, sia giuridico che sociale, della predetta questione, sulla quale questa Corte – e, in parti-colare, questa Sezione – non ha avuto ancora modo di pronunciarsi in tale forma solenne, risultando esclusivamente pubblicato un precedente, adottato peraltro con mera ordinanza a seguito di adunanza camerale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34889 del 13/12/2023, Rv. 669588 – 01), con il quale è stata cassata una decisione di merito che aveva escluso in radice la possibilità di ritenere nulla la clausola di un contratto di leasing che prevedeva un tasso di interesse parametrato all’Euribor, nonostante fosse stata accertata da una decisione della Commissione Europea l’avvenuta violazione dell’art. 101 del TFUE, per l’esistenza di un cartello tra otto delle principali banche europee finalizzato alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il suddetto Euribor”. Una scelta di valore tesa a dare la miglior efficacia all’interpretazione che, come i Giudici con salomonica accortezza vanno affermando, è di interesse sia giuridico che sociale. Trovo che l’accurata inclusione di questi termini valorizzi il ruolo della scienza del diritto come salvaguardia di quei principi di ispirazione Costituzionale. Che vanno cioè a beneficio della collettività. Della certezza del diritto. Ma anche di quella sacramentale funzione che svolge il sistema finanziario che attraverso la certezza dei rapporti e degli equilibri tra le parti, svolge l’indefettibile ruolo di stabilità del sistema. In special modo nell’economia del debito è fondamentale non solo l’equo contemperamento degli interessi ma anche la certezza che gli stessi siano fondati su un principio distributivo della ricchezza che sia trasparente e che rifiuta la sperequazione e l’alterazione dovuta al perseguimento di interessi di parte, indebiti e nocivi per la capacità del sistema di puntare al risparmio e alla salvaguardia dei diritti dei contribuenti nella loro veste di consumatori e risparmiatori.

2) Massime conclusive

Ciò posto, prima di meglio addentrarmi nei contenuti della decisione, a beneficio degli interpreti chiamati ad argomentare le difese in favore dei propri assistiti o ad offrire chiarimenti a coloro i quali si rivolgono agli esperti della scienza del diritto ritengo sia opportuno riportare le conclusioni della Corte che rappresentano l’orientamento avuto riguardo ai casi riguardanti i numerosi contratti che richiamano il parametro esterno del tasso Euribor: “i contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell’intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in “applicazione” delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE”; “le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto
della clausola sul tasso di interesse” “in tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione concreta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento”.

3) Il percorso interpretativo

Orbene, i Giudici giungono a queste conclusioni con un elaborato percorso interpretativo che fa anzitutto virtù di ragionevolezza e buon senso. Pertanto dopo aver dato atto dell’unico precedente ormai assai noto (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34889 del 13/12/2023, Rv. 669588 – 01 ) la Corte ritiene doveroso affrontare la tematica della valenza e dell’impatto nel contratto del parametro esterno Euribor prima di tutto in ragione del suddetto precedente. Fermo restando che da subito la Corte precisa come si debba escludere possa qualificarsi conforme al diritto l’affermazione tale per cui: “la nullità delle intese in violazione delle norme sulla concorrenza potrebbe essere invocata solo dalle imprese in concorrenza e non dagli “utenti finali” Mentre, avuto riguardo alle intese restrittive della concorrenza, come nel caso in questione, riguardante il cartello di Banche che hanno operato una manipolazione del Tasso Euribor nel periodo di riferimento prioritariamente si ribadisce che: “la legge “antitrust” 10 ottobre 1990 n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall’altro, che il cosiddetto contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti; pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto “ex” art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della L. n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2207 del 04/02/2005, Rv. 579019 – 01; conf.: Sez. 1, Sentenza n. 14238 del 06/07/2005, Rv. 583536 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 14716 del 13/07/2005, Rv. 583044 – 01; Sez. 1,
Sentenza n. 20919 del 27/10/2005, Rv. 583839 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11759 del 19/05/2006, Rv. 591227 – 01; Sez. U, Sentenza n. 13896 del 14/06/2007, Rv. 598015 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 993 del 21/01/2010, Rv. 611386 – 01)”.

Tale assunto non è in contestazione. Ormai è diritto accettato. E ritualmente applicato. Però risulta assai utile richiamarlo in apertura del ragionamento che la Corte andrà a svolgere poiché molto si è detto e tanto si è letto in proposito. E infatti, successivamente gli ermellini proseguono sintetizzando in maniera efficace il campo di applicazione di questa interpretazione avendo cura di osservare: “Tanto premesso, la questione di diritto da esaminare ha ad oggetto la validità delle clausole contrattuali che, al fine di determinare il tasso di interesse, moratorio o convenzionale, relativo ad obbligazioni assunte dalle parti, facciano espresso riferimento (in tutto o in parte) al parametro costituito dall’Euribor (EURo Inter-Bank Offered Rate: Tasso interbancario di offerta in Euro; si tratta di un tasso di riferimento per i mercati finanziari, calcolato giornalmente, che indica il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in Euro tra le principali banche europee; non ha rilievo, ai fini della presente decisione, illustrare in dettaglio i complessi meccanismi previsti per la sua concreta determinazione)”. Sul punto giova sottolineare che in questi mesi si è appreso tantissimo sul tasso Euribor. Molti interpreti del diritto si sono trovati davanti ad una vera e propria saggistica di contenuti certamente apprezzabile in tante circostanze e altresì dotta nonché ragguardevole ma di fatto essa sembrerebbe riferirsi maggiormente al metodo contabile. Sotto certi aspetti, posto che i rudimenti dell’applicazione ai contratti della matematica finanziaria possono essere impegnativi, corrono anche il rischio di diventare altresì difficili da introdurre nelle more del contenzioso. Laddove può rivelarsi pericoloso sbilanciare il fulcro dell’interesse prioritario del Giudicante aggiungendo un interminabile numero di pagine comprensive di valutazioni che spaziano in molteplici ambiti inerenti alla natura, genesi e valenza del tasso Euribor. Finendo poi per centralizzare eccessivamente nelle argomentazioni difensive l’ipotetico significato da attribuire a questo parametro esterno in ottica potenzialmente distrattiva rispetto alle necessità “del diritto”. Perlomeno in un contenzioso.

4) La risposta ai principali quesiti interpretativi sulla nullità dei tassi d’interesse che rinviano al tasso Euribor oggetto di manipolazione. Dopo una premessa che delimita e nel contempo individua il campo di applicazione del diritto la Terza Sezione si pone due quesiti.

1) Se i contratti di mutuo che fissano tassi di interesse con rinvio al parametro costituito dall’Euribor, possano considerarsi contratti cd. “a valle” rispetto alle intese (o, più precisamente, alle pratiche) restrittive della concorrenza dirette ad alterare l’Euribor poste in essere dalle banche sanzionate con la già richiamata decisione della Commissione Europea del 2013, cui ha fatto seguito quella, analoga, del 2016; più precisamente, se le clausole contrattuali in questione costituiscano una “applicazione” di tali intese, in analogia a quanto già in passato stabilito da questa stessa Corte, a Sezioni Unite, con riguardo alle clausole dei “contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante” in quanto riproducenti “quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza” e, quindi, “contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101
del TFUE” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 41994 del 30/12/2021, Rv. 663507 – 01).

2) Se, altrimenti e quanto meno, possa comunque aver rilievo, sulla validità del regolamento negoziale, il fatto che il parametro di riferimento per la determinazione del tasso degli interessi voluto concordemente dalle parti, possa aver subito una eventuale alterazione, a causa di condotte illecite di terzi. La risposa al primo quesito secondo la Cassazione non può essere affermativa in termini assoluti; per effetto e quale conseguenza non è possibile condividere le premesse da cui parte il noto precedente della Cassazione 34889/2023. Ciò sinteticamente in ragione del fatto che: “per restare nell’ambito dello schema tracciato anche di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 41994 del 2021, più sopra richiamata, affinché possa ritenersi che, in un contratto (cd. “a valle” dell’intesa), sia fatta “applicazione” di una illecita intesa (o pratica non negoziale) restrittiva della concorrenza esistente “a monte”, occorre quanto meno che uno dei contraenti sia a conoscenza dell’esistenza di quella determinata intesa (o pratica non negoziale) con un determinato oggetto e un determinato scopo e intenda avvalersi del risultato oggettivo della stessa”. Pertanto osservano i Giudici: “con riguardo ai contratti di mutuo stipulati da istituti bancari, richiederebbe, dunque, l’allegazione e la prova che la banca stipulante, al momento della conclusione del contratto, fosse o direttamente partecipe di quell’intesa o, almeno, fosse consapevole della sussistenza di un’intesa tra altre banche volta ad alterare il valore dell’Euribor o di una effettiva pratica non negoziale in tal senso ed abbia inteso avvalersi dei risultati di questa”. A tal proposito sembra opportuno sottolineare che il richiamo a quanto già statuito dalle Sezioni Unite è opportuno e funzionale. Dovremmo infatti cercare sempre di inserire una decisione della Cassazione in un percorso di più ampio respiro con soluzione di buona continuità. A volte evolutiva. Ma sempre ragionevolmente orientarci ad offrire un’applicazione non necessariamente “tranchant” della scienza del diritto bensì armonizzata. Ricordiamoci che le parole della Corte di Cassazione rilevano sempre insospettabili depositi di conoscenza e non è saggio oberare la memoria degli interpreti con stereotipi frutto dell’utilitarismo. La recente prassi, tale per cui al pronunciamento della Cassazione fa seguito una sorta di caccia al proclama privatistico del come si debba procedere in una versione da “chiamata alle armi” sembra più utile al gergo pubblicitario e in alcuni casi promozionale la cui risolutezza é anche una tirannica indifferenza all’altrui punto di vista. Cui fanno seguito, a volte, estratti o argomenti persino fuorvianti. Bisognerebbe invece fare informazione. Educare. Con consapevolezza. Nel presupposto che in particolare nel diritto bancario e quello del risparmio non è sempre detto che una soluzione complicata non abbia anche un equivalente più semplice per giungere al medesimo risultato. I Giudici quindi proseguono osservando che: “Non vi è dubbio che il mero riferimento, in un contratto, al parametro dell’Euribor, sull’intuitivo sottinteso presupposto che esso sia correttamente determinato e, quindi, non alterato in modo illecito, sia del tutto legittimo: esso potrebbe, allora ed in ipotesi, assumere carattere illecito, quale manifestazione di una alterazione della libera concorrenza, solo laddove si sia inteso consapevolmente far riferimento al parametro “alterato” da pratiche anticoncorrenziali, o almeno abbia inteso farlo uno dei contraenti”. In buona sostanza non pare possibile che il contratto ove è richiamata l’applicazione del tasso Euribor incriminato violi di per sé stesso, a prescindere da qualsivoglia consapevolezza o volontarietà, le richiamate norme della concorrenza per il solo fatto cioè di esistere. Questo è sinallagmaticamente improbabile se non geneticamente temerario ad affermarsi. Pertanto sembra doveroso che si faccia un punto di chiarezza assoluto su un argomento che distrattivamente potrebbe prestarsi ad una serie di interpretazioni eccessivamente elasticizzabili circa l’effettiva portata di un siffatto precetto. Peraltro, e non ultimo, non in linea con l’attività stessa dell’Autorità Antitrust Tuttavia guardando al risultato dell’effetto manipolativo, che ben inteso i Giudici non negano essersi verificato, questo può comportare ugualmente una sperequazione che in sé produce altresì un alterazione dei diritti attraverso un esito inaccettabile (effetto domino), perlomeno per uno dei contraenti (in questo caso il consumatore / risparmiatore) che sarebbe cioè chiamato a subire gli effetti malevoli di una condotta assolutamente censurabile quale è quella dell’intesa illecita o restrittiva della concorrenza. Sappiamo bene quanto sia essenziale salvaguardare i contraenti deboli quali sono nella maggioranza dei casi i Clienti degli Istituti di credito o di altri Intermediari dalla possibilità che tali intese entrino nei contratti. Pure in considerazione del fatto che si tratta di una contrattualistica usualmente seriale e che pertanto si riproduce affermandosi da tempo attraverso la reiterazione. Giustappunto la Corte osserva che: “In realtà, anche in tal caso, ad evitare gli effetti distorsivi del mercato derivanti dalle intese o pratiche illecite volte ad alterare l’Euribor, deve ritenersi che siano sufficienti i rimedi negoziali dell’ordinamento interno (cfr. sul punto, in motivazione, la già richiamata sentenza n. 41994 del 2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, laddove si afferma che “… la sede naturale per la regolamentazione della sorte dei contratti a valle è quella dell’ordinamento interno degli Stati membri, non essendovi nessuna lettura obbligata dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento della UE, che consenta di far rientrare – automaticamente – nella nozione di intesa vietata la contrattazione a valle”)”. Di conseguenza ad avviso della Corte pare non sia così inevitabilmente scontato invocare per forza e solamente i rimedi apprestati dall’ordinamento di origine sovranazionale in tema di concorrenza e, in particolare, quelli di cui all’art. 2 della L. n. 287 del 1990 ed all’art. 101 TFUE. Ed ecco quindi che la corte di Cassazione dà risposta affermativa al secondo quesito come precedentemente riprodotto senza tuttavia richiamare necessariamente il regolamento sovranazionale europeo. Leggiamo infatti: “Devono prendersi le mosse dalla considerazione che, nelle ipotesi in esame, il concreto assetto di autoregolamentazione degli interessi delle parti è integrato, secondo la loro stessa volontà, dal riferimento ad un parametro esterno, non del tutto casuale e non totalmente aleatorio, ma di cui è noto il meccanismo ordinario di determinazione che, in tal modo, assume la natura di un vero e proprio presupposto del regolamento contrattuale, in quanto idoneo a individuare l’oggetto della clausola di determinazione del corrispettivo (o quello di una penale), benché non ne sia prevedibile ex ante il risultato finale concreto. Si tratta di una clausola certamente valida, sotto il profilo della regolare formazione della volontà negoziale e della liceità, possibilità e determinabilità dell’oggetto del contratto”. Tuttavia: “laddove si accerti che il parametro richiamato sia stato alterato da una attività illecita posta in essere da terzi, viene meno il risultato, almeno parzialmente prevedibile, del meccanismo costituente il presupposto del riferimento al parametro esterno voluto dalle parti: è inevitabile, allora, concludere che esso non potrebbe ritenersi più in grado di esprimere la effettiva volontà negoziale delle parti stesse, almeno con riguardo alla specifica clausola che prevede il richiamo al parametro in questione, per tutto il tempo in cui l’alterazione del meccanismo esterno di determinazione del corrispettivo dell’operazione ha prodotto i suoi effetti”.
Successivamente e ancora: “Non possono esservi dubbi sul fatto che, qualora sia stipulato un contratto che faccia riferimento, per un parametro quantitativo rilevante del regolamento negoziale quale l’oggetto del corrispettivo o una penale, ad un determinato valore “esterno”, che le parti sanno essere determinato in virtù di specifici e noti meccanismi operativi concreti e che viene ufficializzato da determinati organismi istituzionali sovranazionali e, in particolare, europei (parametro che costituisce, quindi, un “dato oggettivo di agevole e pubblico riscontro calcolato in modo unitario su scala europea”), il dato di riferimento deve intendersi richiamato nel regolamento negoziale in virtù di tali sue oggettive caratteristiche, onde, laddove quel parametro venga meno (nel senso che non sia più disponibile, perché, ad esempio, non più rilevato e reso pubblico), esso, ovviamente, non potrà essere utilizzato per la determinazione del contenuto delle obbligazioni oggetto del
contratto (la questione si è posta, in concreto, ad esempio, con riguardo al tasso ufficiale di sconto e poi al tasso ufficiale di riferimento, non più determinati dopo una certa data)”.
Sembra anche opportuno rilevare come più che citare pedissequamente il tasso Euribor i Giudici optano per una diversa terminologia: “parametro esterno”. Termine particolarmente corretto perché sintetizza bene il fatto che lo stesso viene introdotto nel contratto a scopi ben definiti e per svolgere una funzione la cui efficacia è inscindibilmente legata alla propria ragion d’essere; se tale risulta alterato il parametro in questione diventa inidoneo a costituire quell’espressione della volontà negoziale delle parti che sta alla radice stessa delle caratteristiche che lo hanno evocato all’interno del contratto. Con estrema chiarezza e certamente non a caso i Giudici precisano anche che: “d’altra parte, applicare il parametro illecitamente alterato sarebbe palesemente contrario all’effettivo regolamento degli interessi voluto dalle parti, che hanno fatto riferimento a quel parametro proprio in virtù del suo ordinario – e non alterato – meccanismo di determinazione”.

5) La soluzione interpretativa per salvaguardare gli interessi coinvolti e la valenza di prova privilegiata dell’Autorità Antitrust.

Possiamo quindi e in adesione alle conclusioni esplicitate in apertura, al Par. 2) cominciare a delineare l’argomentazione risolutiva del problema tale per cui anzitutto: “la corretta impostazione da adottare per risolvere le questioni legate alla stipulazione di clausole contrattuali contenenti riferimenti all’Euribor, in applicazione dei principi sull’esistenza, la possibilità, la liceità e la determinabilità dell’oggetto del contratto, implica che la cd. “clausola Euribor” – anche in caso di accertamento di pratiche illecite dirette ad alterare il suo valore – non può dirsi di per sé nulla, in generale, perché costituente “applicazione” di un’intesa illecita e vietata restrittiva della concorrenza (salvo il solo caso in cui almeno uno dei contraenti abbia consapevolmente inteso avvalersi degli effetti dell’illecita alterazione, al momento della stipula). Essa, però, potrebbe risultare viziata da parziale nullità per impossibilità di determinazione del suo oggetto, se ed in quanto l’intesa illecita vietata abbia in sostanza ed in concreto fatto venir meno o, se non altro, reso incompatibile con l’autoregolamentazione degli interessi
delle parti oggetto del contratto stipulato, il parametro esterno di riferimento da queste effettivamente voluto (cioè, quello “genuino” e non quello “alterato”) e nei limiti in cui il parametro genuino non sia ricostruibile”.

Tenendo ben presente che:

“quando una clausola negoziale contenga un riferimento ad un parametro quantitativo esterno, in ragione del meccanismo di determinazione di tale parametro, e quel parametro esterno venga illecitamente alterato da un’intesa restrittiva della concorrenza, si verifica una nullità parziale (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), per impossibilità di determinazione dell’oggetto della clausola stessa, per il periodo in cui è stata in concreto sussistente l’alterazione illecita (ciò che è ben possibile nei contratti di durata e quando il parametro di riferimento è istituzionalmente soggetto ad una evoluzione nel tempo). Il parametro alterato, infatti, non corrisponde a quello che nel contratto le parti hanno inteso richiamare e non è possibile la determinazione del parametro effettivamente richiamato (cioè, quello non alterato), se la sua misura, depurata dell’illecita alterazione, non sia ricostruibile”. Del resto: “nel caso in cui si dimostri che le pratiche illecite abbiano determinato un’alterazione dei tassi di interesse pagati o ricevuti (rispettivamente in aumento o in diminuzione) dalle parti dei contratti contenenti clausole di richiamo del tasso alterato, resta ferma la possibilità, per il contraente danneggiato, di esercitare le opportune azioni risarcitorie nei confronti dei soggetti responsabili, a qualunque titolo, del danno, ricorrendone – beninteso – tutti i presupposti”.
Infine, per quanto riguarda gli elementi di prova da apportare e sui quali fondare la strategia difensiva merita di essere riprodotto il condivisibile passaggio al quale si consiglia vivamente di prestare la massima attenzione nella costruzione degli elaborati difensivi in ragione della strategia adottata: “L’approdo della richiamata Cass. n. 34889 del 2023, per il quale la decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013 assurge certamente a prova privilegiata di un’intesa illecita, può allora condividersi, evidentemente quale punto di partenza: invero, una volta così conseguita la prova di tale intesa, sarà poi indispensabile che la parte che se ne assuma danneggiata per la perturbazione del sinallagma contrattuale fornisca quegli ulteriori elementi probatori, sopra descritti come necessari per qualificare appunto inefficace, per tutto il periodo in cui ha prodotto conseguenze l’intesa illecita, la clausola negoziale contenente il riferimento al parametro esterno
alterato, che ha reso l’oggetto del contratto non determinabile secondo la volontà delle parti”.

1 – https://investire.aduc.it/articolo/mutui+2005+2008+tasso+euribor+chiedere+rimborso_37201.php

Marco Solferini, legale, consulente Aduc, delegato sede Bologna

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