Il 24 maggio del 1915 l’Italia attacca l’Impero Austroungarico. Comincia per noi la Prima Guerra Mondiale
Non combattiamo per voglia di conquista ma per essere liberi. Trento, Trieste, l’Istria sono città e terre italiane oppresse dallo straniero. Se tutti vogliono essere italiani, se tutti sognano in italiano, se tanti, troppi sono stati uccisi o hanno dovuto rinunciare alla propria, nostra, identità allora finalmente era il giunto il momento per completare l’Italia e per farci stare a testa alta tra le nazioni del mondo. Prima, come troppo spesso oggi, ridevano di noi.
“Perché non sian popolo, perché siam divisi”. Perché italiani da tutte le regioni, italiani tornati dall’emigrazione, italiani delle terre irredente furono uniti e combatterono insieme per la vittoria. E in trincea scoprirono, nello sguardo spesso impaurito del commilitone, che i dialetti, le differenze, le storie regionali così lontane fra loro non erano nulla rispetto alla voglia di sopravvivere aiutandosi e di vincere per tornare a casa e festeggiare una pace vittoriosa.
Si scoprirono davvero italiani. Eppure ricordare la Grande Guerra non vuol dire sperare che non ci sia più bisogno di sacrificare la vita ma ricordare che tanti l’hanno fatto per noi. La Canzone del Piave termina con “né oppressi né stranieri”. Parole che valgono ancora oggi. Parole scritte da un napoletano, E. A. Mario – pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta -, che amava l’Italia. Oggi come ieri con lo spirito del Piave dobbiamo ricordare che possiamo essere liberi. Che se anche il nemico che ci opprime, magari con un algoritmo finanziario gestito da Bruxelles, sembra imbattibile noi possiamo vincere.
Noi dobbiamo vincere.
Per rispettare chi ha combattuto per l’Italia prima di noi ma soprattutto per il futuro dei nostri figli.
Ma la guerra fu anche e soprattutto sangue e dolore. E morti. Oltre 600.000 morti.