La pizza di Briatore, Quanto vale?

Flavio Briatore e la sua pizza a 17 euro sbarcano a Napoli. Apre il locale Crazy Pizza e tutti sono contenti, sia i contrari che i favorevoli. È un imprenditore, non un pizzaiolo, non usa l’impasto tradizionale, la pizza vera è un’altra cosa, ma apre un’azienda che assumerà un po’ di lavoratori. Il prezzo è più del doppio di quello delle pizzerie più note e quotate di Napoli. Ma da Briatore, come si dice per ogni altro ristorante sedicente gourmet, non mangi solo una pizza, ci vai per fare un’esperienza.

Che poi sarebbe mangiare la pizza in un locale elegante, servito bene, bevuto meglio, con dj set e bella gente intorno. Tutti contenti, triccheballacche e putipù di gioia. Qualcuno, Bobo Craxi in Tv, ha detto che va bene, ma c’è chi non se la può permettere la pizza a 17 euro di Briatore e questo dimostra il ritorno della “classe”, sì proprio quella di Marx, sempre in lotta. Bobo ha detto anche che questo è il segno dei tempi, perché quando si creano differenze di classe troppo marcate, prima o poi ci saranno tensioni e conflitti armati. Come succede proprio di questi tempi. Di fronte c’era Daniele Capezzone che, difendendo la pizza di Briatore a 17 euro, sosteneva strenuamente le ragioni del libero mercato, come di consueto. Polemiche e qualche divertito schiamazzo.
Chi va da Briatore per pagare una pizza 17 euro, probabilmente mangia una buona pizza, perché s’immagina che non sia lui al forno ma qualche bravo pizzaiolo. Però non basta.

Se uno va da Briatore a mangiare una pizza che costa 17 euro, lo deve far sapere, altrimenti l’esperienza è monca, menomata del meglio, che poi sarebbe il dirlo in giro, meglio se l’esperienza viene narrata sui social. Meglio ancora se la cosa diventa virale.

La pizza è un bene “normale”, facilmente venduto nel mercato dei beni privati, perché divisibile in porzioni, dal consumo di ognuna delle quali è possibile escludere tutti gli altri consumatori, pagando il prezzo di mercato. Cosa che non si può fare per esempio con l’aria, che per questo è un bene pubblico, a cui tutti accedono senza pagare (almeno per ora). Anche la pizza di Briatore è un bene privato, ma di un genere particolare. È un bene “normale” trasformato in bene di lusso, perché si dice che contenga altre qualità, narrate come esperienza. È un bene che attira consumatori che comprano solo se il prezzo è alto, o molto alto. Più è alto più ne vogliono. E questo serve, non tanto per riempirsi la pancia, ma più che altro per comunicare la capacità di “escludere” il più possibile gli altri dal proprio bene di consumo, “privandoli” di una razione. Non casualmente nei locali di Briatore c’è sempre uno spazio chiamato privé.

Sono cose elitarie? da dandy? da snob? Sì, eccome. Ma attenzione, lo snobismo è soggettivo, legato al tempo e allo spazio. Quello che oggi per alcuni è segno di eleganza esclusiva per altri potrebbe essere pacchiano, cafone, roba da poveracci arricchiti, soprattutto se passa un po’ di tempo e le cose si coprono di polvere grigia. E poi, quello che è snob in Italia può apparire dozzinale in altre parti del mondo. Così è, e così sempre sarà, nonostante Bobo Craxi, Capezzone e perfino la buonanima di Marx.

E allora? che ci resta? Poco o tanto, secondo le proprie sensibilità, che poi sarebbero due cose meravigliose: consapevolezza e autonomia di giudizio. Magari pensando che l’esperienza di una pizza fatta bene, pagata 6 euro e mangiata con gli amici, sia migliore di quella consumata accanto ai tavoli dei sedicenti snob del Crazy Pizza.

Gian Luigi Corinto, geografo agroalimentare, consulente Aduc

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