Nella repubblica di Perticara fra omicidi e ribellione

Il libro di Lorenzo Valenti e Franco Vicini “Martignone “ferocissimo uomo!” Una storia violenta nel contesto dell’epopea della miniera di Perticara”

Una storia durata oltre due secoli quello dello sfruttamento minerario dello zolfo della miniera di Perticara, in alta Valmarecchia. E nonostante siano ormai sessanta anni che sia stata chiusa, nel 1964, gli studi su questa importante realtà economica ed il contesto storico e sociale che la circondava proseguono. La bibliografia inerente incomincia ad essere veramente notevole. In questo aiutata dalla importante azione pluridecennale del “Parco Museo della miniera di zolfo di Marche e Romagna”, presieduto ormai da un ventennio da Carlo Evangelisti, e dalla attività di ricerca storica della Società di Studi Storici per il Montefeltro, a lungo presieduta da Roberto Monacchi ed ora, da un paio d’anni, da Lorenzo Valenti. E’ proprio quest’ultimo, Lorenzo Valenti (classe 1960), avvocato con passione per i temi politico-sociali di storia contemporanea dell’Appennino romagnolo e marchigiano, ex-Sindaco di Pennabilli, nonché rappresentante delle parti civili della Provincia di Forlì, di Rimini e di Pesaro nei processi per le stragi naziste del 1944, che “frugando” fra le carte dei tribunali marchigiani (in primis quello di Urbino) ci racconta in questo volume la storia di Martino Manzi, detto “Martignone”. Lo fa assieme a Franco Vicini (classe 1947), ricercatore storico, ex Sindaco di Sant’Agata Feltria, specializzato sulle vicende risorgimentali, soprattutto dei territori a cavallo fra Romagna e Marche. Fra i suoi interessi primari figura l’ambiente minerario del bacino di Perticara, con le sue violenze, i suoi sacrifici, ma anche con la spinta di una forza propulsiva inarrestabile. Manzi è una figura centrale delle tante storie che riguardano l’alta Valmarecchi nella seconda metà dell’Ottocento. Capo sorvegliante nella miniera di Perticara, nel 1859 si arruola insieme ad altri repubblicani perticaresi come volontario nella Seconda Guerra d’Indipendenza, al ritorno della quale diventa un esponente influente nell’ambito del partito democratico repubblicano della sua zona. Fu il maggior responsabile dell’uccisione di tre carabinieri a San Donato di Sant’Agata Feltria il 15 settembre 1872, senza però mai essere processato. La sua latitanza, favorita pare dai sodali minatori mazziniani delle miniere vicine, terminò però nel sangue qualche mese più tardi in un’imboscata a Serra di Tornano.

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