La prima nazionale de Il fu Mattia Pascal diretto da Marco Tullio Giordana apre la Stagione 24/25 del Teatro degli Illuminati di Città di Castello. Mercoledì 6 e giovedì 7 novembre
La Stagione 24/25 del Teatro degli Illuminati di Città di Castello, organizzata dal Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con l’amministrazione comunale, prende il via con il debutto in prima nazionale de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandelllo mercoledì 6 e giovedì 7 novembre alle 20.45. Geppy Gleijeses, diretto da Marco Tullio Giordana – uno dei registi più importanti e acclamati del nostro cinema – è l’interprete di uno dei personaggi più iconici della letteratura pirandelliana. Con Gleijeses sul palco un eccezionale cast composto da 11 attori: Marilu’ Prati, Nicola Di Pinto, Roberta Lucca, Giada Lorusso, Valeria Contadino, Ciro Capano, Totò Onnis, Francesco Cordella, Teo Guarini, Davide Montalbano, Francesca Iasi. Un uomo creduto e poi fintosi morto, quando “risuscita” s’accorge che non può essere riammesso nella società, nella famiglia, perché per la società, per la famiglia egli è morto davvero. Quale prova più scintillante del sentimento del contrario? Disonestà e purezza, vita-morte nel grande caleidoscopio della certezza sociale, che bolla come sicuro quello che non esiste e come inesistente quello che vive. E dentro una tessitura umoristica, elementi riflessivi e irrazionali sconvolgono quella quarta parete, che nel teatro come nel romanzo dovrebbe essere protezione d’impersonalità, come se l’autore stesso e il pubblico non esistessero. Dalle note di regia di Marco Tullio Giordana: “Il fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904, è il romanzo che diede a Pirandello fama mondiale e che, in continuità con Wilde, Dostoevskij, Stevenson e contemporaneamente a Conrad, Freud, Kafka, farà dilagare nella letteratura del Novecento il tema del Doppio, del Doppelgänger, in modo così invadente da spazientire Nabokov che lo considerava «di una noia mortale». In realtà nel romanzo seminale di Pirandello le vicissitudini di Mattia Pascal e del suo specchio Adriano Meis sono il contrario della noia: tanti sono i colpi di scena, e lo spazio/tempo dove si consumano in continue sovrapposizioni, da suggerire nella riduzione per la scena una chiave non realistica e indurre la macchina teatrale a mescolarsi col linguaggio parallelo del cinema, sviluppatosi anch’esso agli inizi del secolo breve.”