Scopro la Casa Museo di Casteldelci in provincia di Rimini in Emilia-Romagna, 15 minuti da Le Balze di Verghereto, per caso, alla ricerca di scorci inediti nel corso di una passeggiata domenicale con gli amici Rosanna Marrani e Bruno Tredici; è una di quelle scoperte che considero un dono per più motivi, il primo dei quali è che non è cercata e il secondo è che mi ha lasciato più ricco sotto vari punti di vista.
Troviamo infatti l’Ufficio turistico aperto, cosa che per un comune di poche centinaia di abitanti non è scontata anzi è rara. Privilegio assoluto e altrettanto raro è trovarci dentro la disponibilità, la gentilezza tutta romagnola e la preparazione di Gianloris Cresti, per tutti Loris, Promotore Turistico autentica memoria storica del luogo che detiene l’arte di sapere raccontare le cose; ci svela i segreti del Centro storico e ci guida nella Casa-Museo; una Sezione Archeologica, in più sale e in ordine cronologico, espone testimonianze dall’età Preistorica al Rinascimento. I reperti dalla Preistoria all’Età del Ferro formano il nucleo più importante ma ci sono anche reperti di età romana, monete e frammenti di vasi, coppe, anfore e altri oggetti in bronzo. Ma quello che sicuramente più coinvolge, non foss’altro per un allestimento emozionale straordinario, è la Sezione di Storia Contemporanea che racconta la sciagura della guerra nella primavera-estate del 1944. La follia omicida dei nazi- fascisti sembra si fosse acuminata e focalizzata in maniera puntiforme in questo piccolo centro, e nel territorio circostante, dove persero la vita oltre cinquanta civili; una catena di eccidi abominevoli, di quelli che si fa fatica ad ascoltare, sconvolse per sempre il territorio e ne cambiò sostanzialmente il numero di abitanti. Vecchi apparecchi telefonici a muro attendono solo che il visitatore sollevi la cornetta per ascoltare, dalla voce registrata dei testimoni oculari, quei fatti; barattoli attendono di essere aperti per fare il medesimo servizio. La nostra guida ci regala varie testimonianze della propria famiglia, soprattutto pervenutegli dal padre, ma fa sue anche quelle degli altri che fortunatamente hanno avuto il coraggio di raccontare tutto prima che l’anagrafe cancellasse ogni testimone oculare. Ci commuoviamo nel conoscere queste storie e anche nell’udire quello che sapevamo già; per esempio il fatto che i sopravvissuti e i parenti diretti, per molti anni hanno tentato di rimuovere l’evento, quasi come se una sorta di pudore non gli permettesse di svelare cioè che era stato e che non avrebbe dovuto essere. Metabolizzare quell’orrore non deve essere stato facile e ha richiesto tempo. Cosa ci rende umani? Questa è la domanda fatta ai visitatori che alla fine del percorso, se vogliono, possono scrivere il pensiero su un cartellino da appendere a un bastoncino che può essere piantato su un grande bacile di terra al centro di una sala. Un museo bel fatto, accurato, per molti e, dicevamo, non per tutti perché richiede un passo lento, un impegno intellettuale, la libera scelta del lasciarsi coinvolgere e del partecipare ad una storia che aspettava solo di essere riscoperta; richiede anche l’umiltà di sapersi vergognare per quello che l’uomo ha fatto a se stesso. Loris ci legge la lettera del Maestro Palmiero Caroni a Franz ipotetico soldato. Domande, non solo retoriche, a cui Franz non ha dato e mai darà risposte, perché risposte non ce ne sono ne potranno mai esserci
Michele Foni