Arrivò il Santo Natale senza accorgergercene e soltanto poche ore prima della grande ora realizzammo che ci trovavamo isolati dal resto del mondo, boschi tutt’intorno e la neve che ci copriva. Cadeva una farinella fina fina, così fitta sembrava nebbia, non si vedevano nemmeno le luci della stazione.Mentre da noi la sera della vigilia si fa un gran cenone. Qua tale usanza era sconosciuta, per loro il venticinque dicembre è il gran giorno.
Per la sera della vigilia non preparano nulla di speciale, abitualmente passano la serata in compagnia si ma piuttosto allegrotti, attendono l’arrivo di Babbo Natale e dopo la messa della mezzanotte aprono i regali ai bambini.Durante la magra e malinconica cena notammo l’assenza di Giannuzzo il più anziano del gruppo e come se d’intesa poco dopo uno a uno ci ritrovammo tutti sul vagone numero quattro dove lo trovammo seduto e accucciato vicino alla stufa con le lacrime agli occhi. Ognuno che arrivava ripeteva lastessa frase:“Buon Natale compare Giannuzzo”.“Buon Natale, buon Natale”. Rispondeva lui moscio moscio.La calda espressione e la sincerità, la spontaneità di quelle parole non solo risollevarono il buon umore di compare Giannuzzo ma rianimarono e rallegrarono lo spirito di tutti i presenti, riportandoli per un breve istante a casa loro, tra i cari lontani. C’è da immaginare quanta dolcezza e quanta tenerezza rievocavasi nelle loro menti. Da parte mia mentre nel pensare ai miei li vedevo riuniti intorno alla tavola seduti ognuno al proprio posto con papà che aveva appena finito di dire la preghiera di ringraziamento, tale visione veniva rimpiazzata da mamma intenta a friggere la famose “Pizzelle” frittelle con dentro l’uva passita. Pare che tale scenetta offuscava tutto il resto e il pensiero delle pizzelle insieme al torrone mi facevano venire l’acquolina in bocca.Ad un certo momento compare Giannuzzo si alzò e direttosi verso il suo posto, da sotto la branda tirò fuori la valigetta di legno, e l’appoggiò sul letto. Tutti gli occhi si puntarono su di lui e mentre silenziosamente tutti seguivano le sue mosse, aprì la valigetta, tirò fuori un pacchetto e religiosamente lo cominciò a scartare.Che sarà e che non sarà la curiosità era grande e tutti gli si fecero intorno. Prima levò la pezza, poi tolse un foglio di carta straccia gialla, tipo di quella che ci incartava la pasta il fornaro, poi un altro foglio di carta oleata e finalmente vedemmo spuntare il tesoro.Era una soprassata, conservata chissà come gelosamente fin dal lontano maggio, ed ora l’aveva tirata fuori per celebrare il Santo Natale. Ogni mossa era pesata, mise la mano in tasca e tirò fuori un coltellino, aprì la lama, la pulì sui calzoni, poi come quando il sacerdote rispettosamente e devotamente con le dita prende l’ostia consacrata in mano, così fece lui con la soprassata, la trattava così delicatamente sembrava stesse toccando una cosa sacra, quasi quasi gli dispiaceva di tagliarla. Come sempre, Franchino che non lasciava mai sfuggirsi l’occasione di punzecchiare non importa chi, dapprima ne seguì i movimenti in silenzio, poi persa la pazienza:“Compare Giannuzzo. La vogliamo tagliare questa soprassata o prima ci dobbiamo fare la fotografia?”Dal diario di Armando Viselli. Nelle pagine dei diari riscopriamo spesso il Natale nella sua essenza più pura: una luce nel buio, un gesto semplice che scalda l’anima, una tavola immaginata tra affetti lontani.Che sia una soprassata condivisa in silenzio, un ricordo che consola, o la neve che avvolge tutto in un abbraccio bianco, ogni Natale porta con sé il sapore della memoria e della speranza.Da tutti noi dell’Archivio dei diari, auguri di cuore per un Natale ricco di storie, calore e piccoli grandi gesti d’amore.
Buon Natale!