Il 21 agosto 1968, via Castelletti a Signa. E’ qui che tutto ha inizio i due amanti Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, appartati in una Giulietta accanto al cimitero di Signa, vengono uccisi con otto colpi di pistola a distanza ravvicinata. Unico testimone il figlio della Locci che dormiva sul sedile posteriore della Giulietta
Tutto lascerebbe presupporre una liaison tra due emigranti in terra toscana: lei di origine sarda, lui muratore venuto dalla Sicilia. Inizia così una storia che nel tempo ha assunto sempre più i contorni della leggenda. Una storia che nasce dalla pietra e dalle campagne che nel tempo hanno protetto e custodito la Firenze rinascimentale. Una storia, ormai quasi leggenda, che si nutre della perversione degli uomini, che striscia nei sentieri più desolati, per poi versare nel sangue e nel dolore figli di una periferia misera ed amara che per secoli si è fatto finta di non vedere.
L’ombra della belva copre indizi e prove, lasciando solo una scia di morte e di domande alle quali è complicato poter rispondere con certezza. Nonostante tutto, la Giustizia ha provato a raccontare come i fatti si siano realmente svolti e quindi, è sacrosanto precisarlo, una spiegazione lineare esiste certamente. Esistono delle condanne definitive, come quelle per Mario Vanni e Giancarlo Lotti, ma solo per alcuni dei pluriomicidi compiuti dal Mostro, ed altre che si sono arenate per sempre, come quella di Pietro Pacciani, bloccata nel suo iter dalla scomparsa improvvisa dell’imputato. La comprensività del caso parte fin dal principio, ovvero da quando effettivamente il Mostro di Firenze ha cominciato a colpire.
Secondo i giudici la sequenza assassina, imputabile quantomeno a Pietro Pacciani, inizia nel 1974.
Secondo altri (molti), il primo omicidio del Mostro si consuma il 21 agosto del 1968, a Signa, in provincia di Firenze. Gli elementi che porterebbero a collegare il ’68 con gli altri crimini successivi sono sostanzialmente due: l’arma e la tipologia delle vittime. I due, con il piccolo, dopo essere stati al cinema si allontanano con la Giulietta del muratore. Fanno un giro lungo in modo che il bambino possa addormentarsi, poi, quando Morfeo se n’è impossessato, si fermano in via di Castelletti, a 100 metri dal bivio per Comeana, in una zona abitualmente frequentata da coppie in cerca di intimità. Lo Bianco si sposta sul lato del passeggero e reclina lo schienale, La Locci tira sulle cosce il vestito.
Intanto sul sedile posteriore il bimbo continua a dormire.
Sono presi dalla foga ma, stando alla ricostruzione dei fatti, non riescono ad avere un rapporto completo poiché, mentre sono in quella posizione, sono raggiunti da otto colpi di una calibro 22, quattro a lui e quattro a lei.
È una notte di agosto.
Il novilunio rende più agevole l’occultamento tra i boschi di Signa. Antonio Lo Bianco e Barbara Locci sono stati al cinema, come due fidanzatini. Antonio e Barbara sono amanti. Il muratore è padre di tre figli, la donna ha un marito e un figlio di sei anni già avvezzo alla falsità del pudore. In paese la chiamano l’Ape regina per la sua smania di accoppiarsi con diversi fuchi senza tener in gran conto l’onore del marito, Stefano Mele, divenuto a tutti gli effetti il succube cornuto.