Caso Guerrina Piscaglia: padre Graziano trasferito da Rebibbia

Arezzo, notifica a vuoto per causa civile contro lui e la Chiesa. Partirà con un nulla di fatto la causa civile intentata dai familiari di Guerrina Piscaglia contro la Chiesa, per avere un milione di euro di risarcimento danni per l’omicidio della donna che fu assassinata, secondo la giustizia, da padre Gratien Alabi. L’ex vice parroco di Cà Raffaello condannato a 25 anni di reclusione non è più nel carcere di Rebibbia ma non si sa dove sia stato trasferito e pertanto non è stato possibile notificargli l’atto legale della citazione

Così l’udienza in programma il 24 novembre contro il congolese, contro la Diocesi di Arezzo Cortona Sansepolcro e contro i Canonici regolari Premostratensi, non potrà entrare nel merito e sarà rinviata. Padre Graziano nel corso del 2022 ha lasciato il penitenziario di Roma dove era rinchiuso, ha tagliato i ponti con i suoi avvocati – Riziero Angeletti e Francesco Zacheo – e non è dato sapere dove si trovi adesso. In passato aveva chiesto di trovare posto al carcere di Opera a Milano. Fino a ieri non c’erano certezze tra i legali su dove si trovi Alabi. Intanto formalmente, per l’anagrafe, risulta ancora residente nella canonica del paese del comune di Badia Tedalda, Cà Raffaello, dove il primo maggio 2014 tutto ebbe inizio con la scomparsa della cinquantenne, innamorata del prete di colore, incamminatasi proprio verso la canonica. Secondo la sentenza fu uccisa da Alabi che ne fece sparire il corpo (agì da solo o con complici?) per poi iniziare un’attività di depistaggio svelata, seppure a distanza, dai carabinieri e dal pm di Arezzo Marco Dioni. Mai ritrovato il corpo. Per quanto siano rimaste ombre e lacune nella ricostruzione (come e dove fu uccisa la donna? davvero il movente fu il timore che Guerrina sciupasse la reputazione del prete? dove fu messo il corpo?) il processo ha superato tutti i gradi di giudizio fino al suggello della Cassazione. Le sorelle e le nipoti di Guerrina, assistite dagli avvocati Chiara Rinaldi e Maria Federica Celatti, hanno depositato l’atto di citazione secondo il quale la responsabilità della scomparsa va accertata in solido tra Gratien Alabi, la Diocesi e l’Ordine di appartenenza del religioso. “L’abito talare – scrivono gli avvocati nell’atto – fu una vera e propria conditio sine qua non della relazione sessuale prima e dell’evento morte poi”, poiché “pose padre Graziano nella condizione di poter più agevolmente compiere il fatto dannoso”. Inoltre il vescovo di Arezzo era stato informato da una parrocchiana del comportamento di Alabi non consono e pertanto, secondo la citazione, avrebbe dovuto attivarsi rimuovendolo dal ruolo, “conscio della pericolosità della relazione” tra Alabi e Piscaglia. Invece la “degenerazione del rapporto che Alabi aveva con lei, rapporto insorto tra i due in ragione della funzione pastorale affidatagli” sfociò nel tragico esito. Padre Graziano frequentava la famiglia “per assisterla moralmente ed economicamente, così come si addice a un pastore di anime, salvo poi approfittare della vulnerabilità della vittima” Secondo i familiari, la Chiesa è corresponsabile perché “fu proprio celandosi dietro il carisma dell’uomo di chiesa e abusando delle sue incombenze che Gratien manipolò Guerrina sino a perdere il controllo” e “fu proprio in ragione delle stesse funzioni che Alabi trovò più conveniente uccidere Guerrina piuttosto che andare incontro alle conseguenze disciplinari della sua condotta”. Da qui ad ottenere una sentenza di responsabilità delle alte sfere religiose, il passo non sarà facile. Anche il marito della donna, Mirco Alessandrini, il figlio Lorenzo e i suoceri, perseguono una analoga azione civile con gli avvocati Nicola Detti e Francesca Faggiotto.

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