È un giorno che è rimasto nella memoria storica del paese, quel 24 maggio, forse il Piave mormorava davvero calmo e placido, come dice la celebre canzone degli alpini, ma ad attendere i fanti italiani e con loro tutto il Paese c’erano anni durissimi, di sofferenze e di privazioni. Più di tre anni dopo sarebbe arrivata una vittoria, ma sicuramente conseguita a caro prezzo
La Grande Guerra, con tutto il suo carico di morti, tragedie e devastazioni, era già in corso da dieci mesi quando l’Italia abbandonò la neutralità e si schierò al fianco delle forze dell’Intesa contro gli ex alleati dell’Impero Austro-Ungarico e della Germania. In quelle “radiose giornate di maggio” che fecero da preludio alla dichiarazione di guerra, come saranno celebrate dalla retorica interventista, nonostante la maggioranza della popolazione fosse contraria alla guerra, a prevalere furono le posizioni di chi premeva per la partecipazione al conflitto. Neutralisti e interventisti I neutralisti (cattolici, liberali giolittiani, socialisti) erano la maggioranza nel Paese e alla Camera, ma erano divisi. Gli interventisti (repubblicani, radicali, socialriformisti, sindacalisti rivoluzionari, associazioni irredentiste) avevano un obiettivo comune e una maggior capacità di mobilitare le piazze. Ma il presidente del Consiglio Salandra, il ministro degli Esteri Sonnino e il re Vittorio Emanuele III avevano già deciso, firmando in gran segreto il 26 aprile il Trattato di Londra con Inghilterra, Francia e Russia, che in cambio dell’alleanza con l’Intesa offrivano il Trentino, il Sud Tirolo fino al Brennero, la Venezia-Giulia, l’Istria, tranne la città di Fiume, e la Dalmazia. In pratica, il completamento del processo Risorgimentale e la garanzia di un ruolo di rilievo a livello internazionale alla fine del conflitto. L’esercito austriaco ripiegò subito di pochi chilometri, per occupare posizioni più facilmente difendibili. I militari italiani si trovarono impegnati su un fronte lunghissimo, che andava dal confine con la Svizzera al mare Adriatico, attraversando vette alpine e ghiacciai. I generali, come tutti i loro pari grado dell’epoca, utilizzavano tattiche ottocentesche che non tenevano conto delle innovazioni tecnologiche, a partire dalle mitragliatrici che falciavano con fredda efficienza i soldati lanciati alla carica per conquistare poche decine di metri di terreno. Entro la fine dell’anno, tra le fila italiane si sarebbero contati già oltre 250mila fra morti e feriti. Gli stati dopo la guerra I confini, le cicatrici della Storia, sarebbero stati cambiati radicalmente dalla Grande Guerra. L’Impero Austro-Ungarico si disgregò, la Germania subì sanzioni durissime. L’Italia ottenne quanto promesso, anche se la questione dell’annessione della città di Fiume avrebbe fatto a lungo parlare di “vittoria mutilata”. Molti di quei fanti che il 24 maggio 1915 attraversarono il Piave, nel novembre 1918 tornarono a casa trovandosi davanti un mondo diverso