Tutti i perché dei promotori del referendum che si vota domenica 12 giugno 2022 e tutte le ragioni di chi vota contro
Quesito numero 1: abrogazione legge Severino
Il primo quesito è quello che chiede al cittadino si intende eliminare la legge Severino, cioè la norma che fa decadere dal ruolo il politico condannato in via definitiva o l’amministratore locale condannato in primo grado. Chi ha sostenuto il referendum la vuole abrogare perché si è dimostrata inutile e dannosa nei confronti dei politi locali. In particolare sul sito del “Sì” ai referendum si legge che “nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente. La legge Severino ha esposto amministratori della cosa pubblica a indebite intrusioni nella vita politica”.
Chi è contrario all’abrogazione della norma sottolinea il fatto che il referendum cancellerebbe l’intero impianto normativo, per cui verrebbe cancellato l’unico argine ai condannati in Parlamento. Se questo Decreto non ci fosse mai stato, viene ricordato, Silvio Berlusconi non sarebbe mai decaduto da parlamentare nel 2013 dopo la condanna definitiva per frode fiscale.
Quesito numero 2: misure cautelari
Il secondo quesito è quello sulle misure cautelari. Se vince il Sì, verrà abolito il presupposto della reiterazione del reato per chiedere la misura di custodia cautelare per un indagato. Il comitato promotore dei referendum sulla giustizia vuole porre un freno a quelle persone che, ogni anno, finiscono in carcere da innocenti: “Circa mille persone all’anno vengono incarcerate e poi risulteranno innocenti. – si legge sul sito dedicato al Sì – Dal 1992 al 31 dicembre 2020 si sono registrati 29.452 casi. L’Italia è il quinto paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare: il 31%, un detenuto ogni tre. La carcerazione preventiva distrugge la vita delle persone colpite: non arreca solo un grave danno di immagine, sottoponendole a una esperienza scioccante, ma ha gravi conseguenze sulla sfera professionale. Il carcere ha un impatto drammatico sulle famiglie e rappresenta anche un onere economico per il Paese: i 750 casi di ingiusta detenzione nel 2020 sono costati quasi 37 milioni di euro di indennizzi”.
Chi invece vuole che vinca il “No” pone l’accento sul fatto che così si lasciano fuori diversi reati che, seppur non violenti, sono comunque gravi e hanno un riverbero sociale importante. Qualche esempio? Quelli contro la pubblica amministrazione, la corruzione e molti altri ancora. In sostanza si andrebbe verso l’utilizzo della custodia cautelare quasi esclusivamente per il rischio di fuga o inquinamento delle prove, che sono gli altri presupposti (alternativi) su cui un pm basa la propria richiesta al Gip di una misura cautelare.
Quesito numero 3: separazione delle carriere dei magistrati
Il terzo quesito è quella sulla separazione delle carriere dei magistrati, cioè quello che vuole che i magistrati decidano all’inizio del proprio cursus se essere giudici o pm e che lo decidano una volta per tutta la vita. Oggi non è così e, secondo i promotori del referendum, “questa contiguità tra il pubblico ministero e il giudice contraddice l’idea che l’attività della parte che accusa (PM) debba restare distinta da quella di chi giudica. Essa crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico. Nelle grandi democrazie i PM hanno carriere nettamente separate da quelle dei giudici”.
Chi è contrario al referendum ricorda come questa cosa sia stata già affrontata dalla riforma Cartabia e poi che i numeri della “promiscuità” dei magistrati è una minoranza perché la grande maggioranza, se cambia, cambia poche volte durante la vita. Eugenio Saitta, capogruppo dei pentastellati in commissione Giustizia alla Camera, ha affermato a Rainews che “la comunanza di formazione e di percorso iniziale tra pubblico ministero e giudice per noi è positivo perché impedisce che i Pm diventino una sorta di avvocati di polizia”.
Quesito numero 4: valutazione dei magistrati
Il quarto quesito riguarda la valutazione dei magistrati, sulla quale direbbero la loro anche gli avvocati e i professori universitari degli organismi territoriali. Chi vuole che il referendum passi pensa che “la valutazione della professionalità e della competenza dei magistrati è operata dal CSM che decide sulla base di valutazioni fatte anche dai Consigli giudiziari, organismi territoriali nei quali, però, decidono solo i componenti appartenenti alla magistratura. Questa sovrapposizione tra “controllore” e “controllato” rende poco attendibili le valutazioni e favorisce la logica corporativa. Col referendum si vuole estendere anche ai rappresentanti dell’Università e dell’Avvocatura nei Consigli giudiziari la possibilità di avere voce in capitolo nella valutazione”.
Chi sostiene il “no” ritiene inconcepibile che un no magistrato possa valutare il lavoro di un magistrato. Ancor di più un avvocato. Se proprio si deve fare, allora i sostenitori del “no” chiedono una legge e in effetti c’è: è la riforma Cartabia.
Quesito numero 5: riforma Csm
Infine il quesito numero cinque, che vuole riformare le regole per l’elezione della componente togata (16 magistrati) del Csm (Consiglio superiore della magistratura). Per i promotori del referendum si devono abolire le firme. Perché? Sempre sul sito si legge che “Le correnti sono diventate i “partiti” dei magistrati e influenzano le decisioni prese dall’organo: come ha dimostrato il “caso Palamara”, intervengono per favorire l’assegnazione di incarichi ai suoi componenti, decidono trasferimenti e nuove destinazioni. Si muovono in un’ottica di promozione del gruppo e non sono certo utili per garantire giustizia ai cittadini. Spesso agiscono con una logica spartitoria e consociativa, cosicché le decisioni sono prese all’unanimità per “pacchetti” concordati tra i capicorrente”.
Per il no c’è una questione di utilità visto che la riforma del Csm firmata dalla ministra della Giustizia Cartabia rivede completamente il meccanismo di elezione dei membri togati dell’organo (che passerebbero da 16 a 20). La riforma è stata già approvata alla Camera e arriverà al Senato il 14 giugno, due giorni dopo il referendum, con un accordo già trovato tra i partiti di maggioranza.