Paolo Mainardi e Antonella Migliorini (sabato, 19 giugno 1982)

La notte del 19 giugno 1982, a Baccaiano di Montespertoli  vengono uccisi Paolo Mainardi, meccanico di 22 anni, nato ad Empoli ma residente a Montespertoli, e Antonella Migliorini di 19, anche lei di Montespertoli, dipendente di una ditta di confezioni. I due giovani, fidanzati da molti anni e soprannominati dagli amici Vinavil perché inseparabili, erano appartati a bordo di una piccola Fiat 147, in uno slargo presente sulla Strada Provinciale Virginio Nuova dopo aver trascorso la serata a cena con dei parenti.

Nelle ultime settimane Antonella aveva confidato ad amiche e colleghe di aver paura del maniaco delle coppiette (il termine Mostro di Firenze all’epoca non era stato ancora coniato) e che avrebbe evitato di appartarsi in luoghi isolati col fidanzato. L’assassino sopraggiunge favorito dall’oscurità ed esplode alcuni colpi verso la coppia; sul luogo del delitto verranno messi a reperto nove bossoli di calibro 22 sempre con la lettera “H” punzonata sul fondello; Paolo viene solo ferito e riesce a mettere in moto l’auto e a inserire la retromarcia. Tuttavia non è in grado di controllare l’auto che attraversa la strada e resta poi bloccata nella proda sul lato opposto. A questo punto l’assassino spara contro i fari anteriori dell’auto e colpisce a morte i due giovani. Secondo la versione tuttora condivisa dai più e ammessa al processo, l’assassino in seguito sfilerà le chiavi dal quadro d’accensione della vettura e le getterà lontano, presumibilmente in segno di spregio. Esiste in verità un’altra ipotesi, sostenuta da vari studiosi del caso (tra cui l’avvocato Nino Filastò, che stando alla testimonianza di Allegranti (l’addetto del pronto soccorso della Misericordia che per primo estrasse il corpo dei ragazzi dall’auto) il ragazzo Paolo Mainardi si trovasse anch’egli, come la ragazza, posizionato nel sedile posteriore della Fiat 147. Da qui l’ipotesi che non fu il ragazzo a spostare l’auto e a finire incastrato nel fossetto bensì invece l’aggressore stesso, a seguito del concitato tentativo di allontanarsi quanto prima dal luogo dell’omicidio. In ogni caso, la corporatura robusta di entrambi i giovani (il Mainardi pesava più di 120 kg ed era alto quasi due metri) avrebbe reso difficile all’assassino estrarli dall’auto rapidamente, soprattutto in una zona come quella dove avvenne il delitto. Questo delitto si differenzia dai precedenti in quanto il luogo in cui avviene l’aggressione non è appartato, a pochi chilometri di distanza, nel paese di Cerbaia è in corso la festa del Santo patrono e il traffico di auto lungo la strada provinciale è ridotto ma costante e inoltre l’omicida, per la prima volta, non esegue le escissioni dei feticci né infierisce sui cadaveri, probabilmente a causa dei rischi che questa operazione avrebbe comportato, considerato che la macchina era visibilmente disposta in modo innaturale sulla strada. Il delitto sarà infatti scoperto pochissimo dopo dagli occupanti una vettura sopraggiunta nel frattempo. Antonella è morta, Paolo respira ancora e viene trasportato al vicino ospedale di Empoli, dove muore il mattino seguente senza riprendere conoscenza. In quest’occasione il giudice Silvia Della Monica, sperando di indurre l’assassino in errore, convocò in Procura i cronisti che si occupavano del caso e chiese loro di scrivere sui giornali che Paolo Mainardi, prima di morire, aveva rivelato importanti informazioni utili alla ricostruzione dell’identità dell’omicida, ma tale espediente non portò ad alcun risultato.[senza fonte]

In seguito a questo delitto il primo soccorritore Allegranti ricevette delle telefonate anonime da un uomo misterioso che si spacciava dapprima per un membro della magistratura e poi per il vero assassino delle coppietteː il Mostro di Firenze. Quest’uomo disturbò il soccorritore Allegranti anche in orari notturni con telefonate minatorie. In alcune telefonate (una addirittura la ricevette mentre era in vacanza a Rimini) Allegranti fu minacciato di morte. La testimonianza di Allegranti in merito alle telefonate è attendibile poiché si recò fin da subito dai CC, anche a Rimini. Inoltre nel processo contro i Compagni di Merende si accertò questa circostanza. E qui, seguendo la pista dell’avvocato Filastò, si può risalire alla motivazione di queste telefonate. Il magistrato Silvia Della Monica infatti, come riportato sopra, voleva porre un tranello al Mostro. Molti dicono che ciò non portò a nulla ma, in realtà, una conseguenza ci fu. E fu proprio quella che coinvolse Allegranti. L’avvocato Filastò sostiene che il Mostro di Firenze, in seguito al trucchetto della magistratura, abbia voluto accertarsi che Allegranti non abbia udito niente dalla bocca di Paolo Mainardi, mentre lo trasportava in fin di vita ad Empoli. Ma Filastò sostiene che Allegranti non solo poteva aver udito qualcosa ma poteva, durante il tragitto verso il luogo del delitto, aver visto un’auto particolare, quella con la bolla celeste sopra, ovvero un’auto della Polizia.

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