Arezzo, tutti i dubbi sul nuovo impianto di incenerimento di rifiuti. Resa nota oggi una relazione che evidenzia problematicità sull’ipotesi di costruzione di un nuovo e aggiuntivo inceneritore ad Arezzo e le eventuali ricadute sull’eco sistema ambientale e di salute. E’ stata diffusa dal CO.S.AR, Comitato Sanitari di Arezzo.
In una nota stampa a firma D.ssa Maria Teresa Turrini, presidente CO.S.AR, Comitato Sanitari di Arezzo, le preoccupazioni espresse da alcune forze politiche e da cittadini aretini relativamente al “progetto di recente approvazione per la costruzione di un nuovo impianto di incenerimento di rifiuti da 75.000 ton/anno“. “Tale impianto si aggiungerebbe – senza sostituirlo, si legge nella nota – a quello già esistente da 45.000 ton, per una potenzialità annua di rifiuti inceneriti complessivamente pari a 120.000 ton/anno. La produzione totale di rifiuti nel 2020 nella Provincia di Arezzo è stata pari a 196.268 ton, di cui solo il 50.9% risulta proveniente da raccolta differenziata, quota nettamente inferiore allo standard regionale pari al 62.1%, come si evince dalla sottostante Tabella tratta dal Rapporto ISPRA (1). Si rammenta che l’UE ha posto come obiettivo al 2035 il raggiungimento del 65% di rifiuti urbani riciclati ( non quindi semplicemente “differenziati”) e che per raggiungere questo obiettivo la raccolta differenziata deve essere ovviamente nettamente superiore. La provincia di Arezzo appare pertanto ben lontana dagli obiettivi posti dall’UE che- non va dimenticato- pone al primo posto nella strategia della gestione dei rifiuti la loro riduzione. Ben sappiamo purtroppo – e non certo da ora- che la costruzione di un inceneritore ostacola ogni pratica di riduzione e riciclo dei materiali, perché – come scrisse David Kriebel (2) “ una volta che questi costosissimi impianti sono stati costruiti, i gestori necessitano di una fonte continua di rifiuti per alimentarli” Da dove proverranno allora le 120.000 ton di rifiuti che si prevede di incenerire nel territorio aretino e quali le ricadute sanitarie ed ambientali su un’area già pesantemente contaminata? Si vorranno forse “risparmiare” altri territori e far gravare così sugli aretini le conseguenze nefaste dei rifiuti prodotti da altri? Il nostro territorio non è certo un’isola felice, anzi! Ricordiamo che proprio in prossimità dell’impianto di San Zeno è stato condotto uno studio epidemiologico, realizzato su un coorte di residenti dal 2001 al 2010, che ha preso in esame l’esposizione a PM10 secondo tre diversi livelli: esso ha evidenziato indiscutibili gravi effetti sulla salute, sia per quanto riguarda la mortalità che i ricoveri ospedalieri (3) . In particolare nei maschi esposti ai più elevati livelli di inquinamento si è registrato un + 13% di mortalità generale, un + 20% di mortalità per cause cardiovascolari ed un + 43% di mortalità per malattie ischemiche. Nelle femmine la mortalità per cause respiratorie ha mostrato un eccesso del 65% nella classe più esposta e per le malattie respiratorie acute l’eccesso è stato del 154%. Aumentati anche i ricoveri complessivamente fra maschi e femmine per malattie cardiovascolari, urinarie e respiratorie acute, nonché per altre patologie di rilievo, quale le leucemie fra le donne sia mediamente che altamente esposte (rispettivamente +109% e + 64%). Evidenziati anche rischi per la salute riproduttiva, quali nascite pre-termine e piccoli per età gestazionale.Questi risultati non stupiscono in quanto sono in linea con quanto già evidenziato da numerosi altri studi condotti su impianti di incenerimento presenti sia nel nostro paese che a livello internazionale. Ormai è fuori d’ogni dubbio che gli inceneritori – anche se “perfettamente” funzionanti – contribuiscono in modo rilevante al peggioramento della qualità dell’aria, dell’ambiente nel suo complesso e quindi della salute umana: si pensi solo all’emissione di composti altamente nocivi come metalli pesanti, diossine , furani, PCB etc. (4-6) Vogliamo sottolineare come sia di particolare importanza il fatto che l’inceneritore di San Zeno, come riportato dagli Autori dello studio sopra citato, applica le migliori tecnologie (BAT) disponibili e non ha mai registrato sforamenti dei limiti di legge, a conferma che questi impianti, anche se condotti e gestiti a regola d’arte, sono comunque altamente inquinanti e dannosi per la salute. Ciò nonostante, la Valutazione di Impatto Sanitario presentata dal proponente non ha minimamente preso in esame, neppure nella sua versione più aggiornata, i risultati di tale studio, nonostante la sollecitazione in tal senso dell’AUSL Toscana Sud Est, arrivando ad affermare che “il quadro epidemiologico riscontrato […] ha evidenziato una sostanziale assenza di eventi sanitari avversi, statisticamente significativi, in un periodo di 17 anni di attività ininterrotta in cui sono stati trattati (inceneriti) rifiuti per circa 40.000 tonnellate all’anno”. Nel documento del proponente sono state poi ignorate svariate richieste avanzate dall’AUSL predetta, prima fra tutte quella di tener conto delle ulteriori criticità presenti sul territorio, dovute alla presenza di altri impianti inquinanti e/o di comunità particolarmente a rischio per determinate patologie. Il documento del proponente giunge così al risultato paradossale per cui, pur in assenza di sostanziali innovazioni tecnologiche, l’impatto sulla salute dell’impianto in versione ampliata sarebbe inferiore rispetto a quello dell’impianto esistente! Numerose e positive esperienze presenti nel nostro paese hanno dimostrato che la gestione dei rifiuti può essere fatta rispettando la gerarchia chiaramente espressa dall’UE e che prevede ai primi posti Prevenzione, Riutilizzo, Riciclaggio e che permette di raggiungere quote di rifiuto secco indifferenziato annue pro capite estremamente ridotte, addirittura sotto i 30 kg, come attesta il dossier sui Comuni Ricicloni (7) .
Da dati ISPRA emerge viceversa che la quota di rifiuto secco indifferenziato pro capite/anno ad Arezzo è di 286 Kg: non sarebbe il caso di adoperarsi per ridurla? Ricordiamo che, a livello europeo, il recupero di materia viene sempre prima del recupero di energia e, come ribadito in questa recentissima rivista giuridica (8) : “ I processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’UE funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio. Come già osservato, il contributo maggiore al risparmio energetico e alla riduzione delle emissioni di gas serra proviene dalla prevenzione e dal riciclaggio dei rifiuti.” In un momento in cui l’intreccio fra crisi ambientali, climatiche ed emergenze economiche, sociali e sanitarie è sempre più pressante e fonte di enorme preoccupazione per i cittadini, lo spreco di risorse che si ha incenerendo materiali ancora recuperabili ed arrecando, oltretutto, danni evitabili alla salute e all’ambiente, ci appare una scelta gravissima e francamente inaccettabile.
Auspichiamo che i decisori politici mostrino maggiore saggezza ed ascoltino finalmente le sacrosante richieste dei cittadini. Si ringrazia per la gentile e preziosa collaborazione la Dottoressa Patrizia Gentilini”.
Il Presidente CO.S.AR D.ssa Maria Teresa Turrini