L’assassinio di Darya Dugina – figlia dell’intellettuale eurasista Aleksandr Dugin – impensierisce il Cremlino. L’utile ipotesi del “terrorismo ucraino” e il realistico regolamento di conti fra nazionalisti russi. Putin ha ben altri riferimenti culturali.
La drammatica morte di Darya Dugina, direttamente o indirettamente, è connessa alle turbolenze aggravate dal conflitto in Ucraina. Su chi puntare il dito non è questione di secondaria importanza e la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha subito avvertito: «Se le tracce ucraine dovessero essere confermate, allora bisogna parlare di terrorismo di Stato messo in atto dal regime di Kiev».
Da sabato 20 agosto, Vladimir Putin ha un nuovo tarlo a cui dare risposta, anzi due: chi ha ucciso Darya Dugina, figlia di Aleksandr Dugin, il pensatore che troppi in Occidente ritengono come suo personale ideologo? Quale pista proporre all’opinione pubblica russa come prioritaria, ovvero come reagire? I due interrogativi vanno di pari passo e la prima risposta è arrivata dal Servizio federale di sicurezza (Fsb) che ha dato nome e cognome della presunta esecutrice: Natalia Vovk, una donna ucraina incaricata dall’intelligence di Kiev. Il verdetto dei servizi russi taglia la strada alla procura generale e segnala dinamiche interne complesse, equilibri sempre più squilibrati tra gruppi di potere e cordate che cercano di posizionarsi per un ‘dopo-guerra’ che non si vede e anche per questo agita tutti.