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Il 1669 fu definito dalla popolazione interessata dall’evento vulcanico come l’anno della grande ruina (rovina). Durata ben quattro mesi, e caratterizzata da attività sia esplosiva che effusiva, questa notevole eruzione vulcanica è stata in grado di raggiungere Catania ed il mare, dove una comunità resiliente ha saputo intervenire per mitigare i danni e per consentire in seguito la ripresa del territorio. Infatti, a partire dal Basso Medioevo, periodo in cui si incominciò a strutturare il reticolo urbano con lo sviluppo dei numerosi centri abitati del versante orientale, l’eruzione del 1669 rappresenta l’evento che ha causato il maggior numero di danni alle aree coltivate e al tessuto urbano nella regione etnea.
Dal punto di vista storico l’eruzione del 1669 è stato l’evento che più di ogni altro ha condizionato la storia urbanistica del versante meridionale dell’Etna, in quanto, modificando radicalmente l’assetto del territorio, ha condizionato lo sviluppo dei centri abitati nei secoli successivi, influendo anche sulle attività produttive ed economiche. Numerosi storici sono concordi nell’individuare in questo evento eruttivo il momento di rottura dell’equilibrio tra la città di Catania e il suo territorio rurale. Anche dal punto di vista vulcanologico l’eruzione del 1669 è considerata un evento estremo, tale da modificare radicalmente il comportamento e lo stile eruttivo del vulcano nei secoli successivi. Difatti, questa eruzione chiuse un periodo eruttivo caratterizzato, durante il basso medioevo, da numerose eruzioni laterali avvenute anche a bassa quota (sotto i 1000 m sul livello del mare). Dopo l’eruzione del 1669 e fino al 1727 si registrò un periodo di bassissima attività eruttiva, seguito da un graduale aumento dell’attività, sia sommitale che laterale, che in gran parte interessò le quote medio-alte dell’Etna, a differenza dei secoli precedenti.
L’eruzione fu preceduta da un’intensa sismicità che ha avuto inizio alla fine del mese di febbraio e che raggiunse il suo culmine fra il 10 e l’11 marzo con la distruzione del paese di Nicolosi. Alle ore 16:30 circa dell’11 marzo si aprì una serie di fessure eruttive, orientate NNO-SSE, che si svilupparono da una quota di circa 950 m fino a 700 m sul versante meridionale. La bocca eruttiva principale si formò ad est del cono di M. Salazara, fra quota 775 m e 850 m; qui un’intensa attività esplosiva costruì nei mesi seguenti un imponente cono di scorie denominato dai contemporanei monte della ruina, successivamente rinominato Monti Rossi per cancellare dalla memoria storica del territorio il ricordo dell’evento più nefasto avvenuto sull’Etna. Durante il primo mese di eruzione l’intensa attività esplosiva alla bocca del monte della ruina generò una colonna eruttiva che, ricadendo al suolo, produsse un deposito piroclastico di lapilli talmente spesso e pesante da provocare il crollo dei tetti di numerose case dei paesi di Pedara, Trecastagni e Viagrande. La caduta dei prodotti piroclastici più fini (cenere) interessò una vasta area fino a raggiungere la Calabria e la Sicilia sud-orientale. Complessivamente il volume totale dei prodotti piroclastici eruttati, sia prossimali – per l’appunto il cono del monte della ruina – che distali, fu di circa 66 milioni di metri cubi.