ANGHIARI – Noi apparteniamo al tempo, agli altri e ai luoghi. Riflettere sulle loro concomitanze e interazioni equivale a pensare e a dare una trama alle nostre vite. A rileggerle non dimenticando quanto non può essere dimenticato. Sono tracce da seguire che ci permettono di rispondere a domande ineludibili.
Alle quali è impossibile sottrarsi: quando? Con e per chi? Dove? Indispensabili per interpretare i nostri perché, quando lo scrivere di noi riaccende la nostra coscienza. Non possiamo dunque eludere tali apicali momenti dell’esistenza: ai quali ̶ da sempre ̶ filosofia, letteratura e poesia tentano di attribuire parole antiche e di coniarne di nuove. Permettendoci di dare un nome proprio alle nostre esistenze, di raccontarle scoprendo che l’io narrante in realtà è un noi, un insieme di io. Una messa in comune. Come più volte scrisse Cesare Pavese, sono i nostri intimi borghi, i paesaggi interiori e aperti ̶ che dobbiamo proteggere e salvare ̶ a permetterci di non sentirci soli. Abbiamo bisogno di condividere ore, relazioni, spazi indispensabili. Le comunità interiori o locali sono volti, storie, affetti: se anche una soltanto di queste necessità vitali viene meno, ci viene sottratta, non cercandola più precipitiamo nei silenzi del rifiuto e dell’oblio.
Le letterature dei luoghi, le memorie partecipate e salvate, quanto scriviamo dei borghi, dei loro paesaggi e delle piccole città amate o rifuggite, sono quest’ anno il grande tema esistenziale e simbolico del Festival dell’Autobiografia di Anghiari. I suoi messaggi vogliono sfidare le solitudini odierne che ci assediano, gli egocentrismi incuranti di tanta bellezza civile, estetica e umana. La scrittura, ancora una volta, lungi dall’essere soltanto un viaggio introspettivo ha bisogno di ritrovare e raccontare le coralità del passato dando voce alle nuove.
Duccio Demetrio