PIEVE SANTO STEFANO – La memoria di Ado Clocchiatti vince il Premio Pieve 2022 La povertà è uno stigma, che ti impedisce l’accesso all’istruzione, che ti preclude le cure se sei malato e ti costringe a emigrare, sin da piccolo, in cerca di lavoro. Ado Clocchiatti è segnato dalla nascita: Udine, 1883, figlio di un conciapelli, a scuola è bravo e a 10 anni finisce le elementari “con distinzione”.
Il maestro vorrebbe che proseguisse gli studi ma il padre soffre di reumatismi, non ce la fa più a lavorare. Tocca già a lui. Questa la motivazione della Giuria nazionale:In questa memoria di una vita breve e struggente, scritta con una intensità che coinvolge e commuove, emergono la saggezza e la rassegnazione di un vinto che sa di non poter cambiare il proprio destino. Durante la Prima Guerra mondiale, Ado, da pochi anni sposo e padre, forse presagendo che non riuscirà a tornare a casa (morirà di spagnola nel 1918) decide di raccontare la sua storia. Friulano, nato in una famiglia poverissima nel 1883 a Pasian di Prato, nonostante sia uno dei migliori allievi della scuola elementare deve iniziare a lavorare ad appena 10 anni per contribuire al sostentamento della famiglia. Ma il lavoro non c’è e inizia così una lunga storia di migrazione stagionale in Germania e nel vicino Impero austro ungarico. Ado ci racconta dall’interno la tragedia dello sfruttamento minorile, perché i bambini vengono messi a lavorare in condizioni terribili. Maltrattamenti, fame e violenze fisiche erano quotidiane. “Un povero per vivere deve soffocare l’amore e viene condannato a vivere come la bestia, lavorare, mangiare, se un povero avesse i sentimenti di divenire un uomo, per mancanza di mezzi deve rimanere ignorante, così va il mondo.”
Ma Ado diventerà un uomo, fin troppo presto. Lavorerà sempre, perché i genitori malati non riescono a provvedere alla famiglia. C’è un movimento continuo di partenze e ritorni. Più si rende conto della fragilità dei genitori, più il giovanissimo Ado si assume quasi il compito di tenere insieme i suoi cari. Ma la speranza di restare uniti viene continuamente frustrata dalla mancanza di lavoro. Il legame con il padre diventa inscindibile. Emigrano e cercano di trovare lavoro negli stessi cantieri, passando per Vienna e Abbazia dove scoprono le bellezze dell’architettura, delle città e del mare che gli era sempre stata negata. Il rapporto di protezione reciproca via via si rovescia perché diventa il più giovane a prendersi cura dell’altro: per il padre sfinito nel corpo e nella mente si aprono le porte del manicomio. “Io facevo quei muri, proprio quella casa, che in compagnia di quei poveri dementi che dovevano entrarvi era pure destinato il mio buon padre!”
Il destino non vuole dare tregua ad Ado: anche se non gli rimangono molte “pagine di vita” da scrivere, la sua testimonianza brilla per profondità e umanità e riscatta la brutalità dell’esistenza a cui è stato condannato.