Risalgono all’inizio del IX secolo a.C. Molti sono distesi sul dorso, ma non mancano i casi particolari: oltre al corpo rannicchiato, spicca lo scheletro di un defunto adagiato su un fianco. La mano dell’archeologa si muove con precisione, il pennellino spolvera per piccoli tratti quella sequenza di ossa in connessione che disegnano il perfetto corpo deposto di fianco, con gli arti rannicchiati.
L’équipe di studiosi guarda con attenzione quel defunto che risale ad almeno 2900 anni fa. «Siamo di fronte alla testimonianza degli scheletri Etruschi più antichi di Vulci, e dell’Etruria in generale», commenta Marco Pacciarelli che sta guidando lo scavo con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli Federico II in accordo con la Fondazione Vulci e la Soprintendenza, sotto la responsabilità scientifica di Simona Carosi. Il corpo è appena riemerso da una tomba a fossa, in una porzione della necropoli di Ponte Rotto celebre per eccezionali sepolture come la tomba Francois. Vulci, d’altronde, è il gioiello in terra etrusca, nel viterbese, nel Comune di Montalto di Castro, legato all’antica, leggendaria, città destinata a diventare fiera antagonista di Roma.