Non è mai tempo per dimenticare

PIEVE SANTO STEFANO – Al contrario, è sempre tempo di ricordare. E lo si può fare in tanti modi: pensando, scrivendo, raccontando o leggendo. Lo si può fare ascoltando e tramandando. L’Archivio dei diari custodisce tante vite di carta e il nostro compito è proprio quello di continuare a testimoniare, di continuare a raccontare, a ricordare e a rivivere gli episodi di chi ha affidato a noi le sue parole, la sua testimonianza

Lo facciamo sempre, senza sosta, soprattutto in giorni importanti come quello di oggi, 27 gennaio. Per iniziativa delle Nazioni Unite, il 27 gennaio è stato scelto come data simbolo per commemorare tutte le vittime dell’Olocausto. L’Archivio dei diari, unendosi a tutti i popoli del mondo nel Giorno della Memoria, vuole portare la propria testimonianza attraverso il diario di Arnaldo Grue ripercorrendo “un ricordo nel ricordo” di un incontro casuale. Siamo in Abruzzo, ad Atri, sul finire degli anni Settanta quando Arnaldo trascorre un periodo di ferie estive nel suo paese natale. L’autore della memoria si è trasferito da molti anni a Roma ma in Abruzzo ha lasciato abitudini, parenti e ricordi. Racconta che durante la villeggiatura, e durante la consueta passeggiata del mattino, un giorno viene affiancato da un uomo anziano, nel quale con qualche difficoltà riconosce il padre di un suo ex compagno di scuola. L’uomo, che lo interroga per accertarsi della sua identità, gli domanda se sia proprio lui il figlio di quel tale A. Grue deceduto da qualche tempo. Arnaldo conferma la parentela e innesca un racconto che ha dell’incredibile, taciuto per anni dall’anziano signore per tenere fede a una promessa di riservatezza. Promessa che dopo la morte di Grue senior si sente di poter infrangere senza imbarazzi. La struggente storia risale all’ultimo conflitto mondiale, e al periodo dell’occupazione nazista, verosimilmente l’ultima parte del 1943. Durante l’ultima guerra nel periodo d’occupazione tedesca, ero il custode del circolo cittadino. Conoscevo molto bene tuo padre, che mi aveva aiutato molte volte in momenti di difficoltà. Il circolo era stato requisito dagli ufficiali tedeschi, che vi passavano il loro tempo libero, giocando a carte ed a biliardo. L’apertura e la chiusura dipendevano dalle esigenze dei singoli ufficiali; molte volte giocavano tutta la notte. Tuo padre frequentava la sala da biliardo di notte, quando non c’era più nessuno. A casa sua forse, credevano che si recasse a qualche appuntamento galante, e questo credo sia stato l’origine di molti dissapori in famiglia, invece veniva di notte al circolo cittadino per giocare a biliardo con alcuni ufficiali tedeschi”. Arnaldo domanda all’anziano cosa si giocassero il padre e gli ufficiali tedeschi. Si giocavano un ebreo a partita: se vinceva tuo padre, allora l’ebreo lo portava via lui, altrimenti rimaneva ai tedeschi. La rivelazione scuote Arnaldo, che si domanda e domanda: Se la posta in palio era sproporzionata, forse unica al mondo, per una partita a biliardo, di conseguenza lo doveva essere anche la contropartita. Pensai: una vita contro cosa? Trovai la forza di chiedergli ancora: “Lui cosa metteva in palio? Quale era stata la sua contropartita per fronteggiare una simile sfida, impensabile e senza eguali?”. La risposta: Un diamante a partita. Un diamante contro un ebreo. Metteva in palio due orecchini con diamanti azzurri, grossi come noci. Posso assicurarti che di partite ne giocò tante, ma non fu mai sconfitto. Gli ufficiali tedeschi erano talmente soddisfatti di perdere giocando contro di lui, che talvolta gli cedevano alcuni ebrei in soprannumero. Quegli orecchini, gioielli di famiglia, Arnaldo li aveva visti molte volte nel dopoguerra, in casa, senza immaginare che fossero stati, un tempo, un pegno ipotetico in cambio della libertà e della sopravvivenza di molti esseri umani.

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