Se Saverio fosse oggi sabato 16 settembre

PIEVE SANTO STEFANO – Ado Clocchiatti Un povero deve soffocare l’amoreMemoria di un’infanzia sfruttata Vincitore Premio Pieve 2022 diari di Pieve, Terre di mezzo, 2023 Ado Clocchiatti ti trafigge con le sue parole umili, intense, vere. È nato nel 1883 a Udine, Ado, e alla fine delle scuole elementari, quando il maestro gli propone di proseguire gli studi risponde “non posso perché sono troppo povero” e piange dalla rabbia e già sa che nessuno aiuta i poveri a questo mondo

Il suo diario, raccolto in queste pagine grazie al figlio Regolo e al nipote Sandro, è una testimonianza preziosa delle condizioni di vita di tanti, troppi bambini costretti a lavorare sotto sfruttamento all’inizio del secolo scorso. Le statistiche parlano di circa cinquemila minorenni friulani impiegati nelle fornaci a mano tedesche nei primi del Novecento, e Ado è uno di loro. Ingaggiato nel 1894 grazie all’intermediazione di un cugino, il nostro protagonista parte per la Germania a undici anni, con già una stagione di lavoro alle spalle in compagnia del padre. Ado non può andare a Vienna con lui quell’anno, perché lì le autorità vigilano sul lavoro minorile. In Germania no: scopre presto cosa è lo sfruttamento lavorativo dei minorenni. “Pensavo io essere un miracolo il vivere sano con un po’ di polenta mal cotta tre quarti di kilogrammo di formaggio del pessimo, da dividere l’intera settimana, diciotto ore di lavoro al giorno, si può dire di suplizio e quatro di dormire sul proprio terreno, con tante qualità d’insetti che mi succhiavano il sangue.” La sua infanzia e la sua adolescenza passano così, tra una stagione e l’altra, tra un lavoro e l’altro, tra un addio alla madre – “Come erano dolorosi quei momenti per una madre che mi amava ed io col cuore ferito e le lacrime agli occhi camminavo camminavo…” – e una corsa per riabbracciarla al suo ritorno. Una storia che riporta alla mente tante storie che incontriamo ancora oggi, nel 2023, nella nostra Fortezza Europa, di quelle storie senza lieto fine che lasciano l’amaro in bocca e la rabbia sana che conduce all’impegno quotidiano a fianco di tanti bambini, bambine, adolescenti costretti a lasciare le loro famiglie troppo presto. Nel 1909 l’ufficio provinciale del Lavoro di Udine ha censito ottantanovemila lavoratori stagionali all’estero solo tra i friulani, l’11% dell’intera popolazione provinciale, tra cui 4.227 minorenni. Mutate le cose che sono da mutarsi, la situazione non è cambiata poi così tanto. Il lavoro minorile esiste ancora, lo sfruttamento spezza ancora le vite dei bambini e degli adolescenti più dimenticati, con le stesse dinamiche descritte così bene in questo diario.
[dalla postfazione di Antonella Inverno

Massimo Bartoletti Stella Acqua passata Il Ponte Vecchio, 2022

Questo libro è certo il compendio dei diari di un ragazzo romagnolo degli anni sessanta del secolo scorso che ha l’innamoramento al centro con tutto il corollario di sofferenza, speranze, astio, strategie e sconfitte, ma è anche il racconto della punteggiatura della vita quotidiana, quella che si perde nel pozzo in cui lasciamo cadere i piccoli gesti all’apparenza privi di significato e che invece si rivelano gli strumenti con cui ripariamo quel danno che forse nemmeno noi riconosciamo.

“Io scrivendo mi sento sollevato.” Alla fine della lettura di questi diari continuo a domandarmi se Massimo ha aggiustato quello che doveva aggiustare, o forse se ancor prima, ha individuato quel danno da sistemare, quel vuoto da colmare: l’amore non corrisposto, il tempo che corre, l’abisso dell’adolescenza, il futuro che spunta all’improvviso. Uno dei dubbi che Massimo sembra sicuramente non avere è quello che poi forse sta alla base di ogni diario, quello che ci porta a scrivere di noi, il dubbio sulla nostra identità, su chi siamo. Lo riassume in una frase perentoria che introduce dichiarandola un “pensiero” e basta questa riga per volergli bene e non lasciarlo più.
“Pensiero. Io sono io, non posso essere un altro, ma se fossi un altro vorrei essere sempre io.”
[dalla prefazione di Matteo Caccia]

Le femmine e i cani non possono entrare Diario di una donna che ha lottato per sopravvivere di Lilith

DiMMi 2022, Terre di mezzo, 2023

Lilith è sempre risorta dalle ceneri di mille battaglie dove è stata bruciata. E la simbologia del fuoco non crea solo metafore suggestive per una donna del Sud Asia, un luogo dove mito e realtà sono separati da una sottile linea invisibile che spesso diventa un confine valicabile e valicato. Lilith lo sa e lo afferma con franchezza: “In realtà io non ho mai voluto essere lontanamente simile a una fenice. Nessuna donna vuole essere ridotta in cenere per poi rinascere dalla propria cenere”. La sua è indubbiamente una testimonianza di dignitosa, civile ed eloquente disubbidienza, ma non necessita di abbellimenti letterari, paternalistiche lusinghe o commenti particolari sulle sue strategie di narrazione. Come il suo Paese, il Bangladesh, non necessita di essere difeso nella sua lunga storia di battaglie per i diritti e la giustizia, allo stesso modo l’autrice non ha bisogno né di complimenti né di giustificazioni per quanto scrive. Lilith ha bisogno di essere letta e ascoltata, perché la sua voce è scomoda ma vera. La sua voce è quella di una donna libera che dice la verità e io non ho nulla da aggiungere o togliere a questa liberante spudoratezza. L’autrice scrive un racconto di venti anni senza lasciarci il tempo di respirare, come se la sua scrittura rompesse gli argini di un fiume in piena e si riversasse, senza le pause e le regole di un narrare studiato, su pagine e pagine di inarrestabile denuncia. Quello che rende questa storia davvero unica e non assimilabile a quella di tante è l’energia della parola agita in piena coscienza, senza paura ma con saggia prudenza. Lilith sa che deve anche proteggersi. Conosce il peso delle parole e il loro prezzo. Ogni cosa, ogni persona, ogni vagina ha un costo. Soldi e potere si accompagnano a paura e perversione. Lilith non vuole più rinascere ogni giorno come un animale mitologico. Chi vorrebbe mai essere costretta a doversi continuamente dissolvere in cenere per risorgere dal terrore e dall’angoscia? La sua storia, infatti, non ha nulla di mitico, ma porta con sé il fardello scomodo della cruda verità.
[dalla postfazione di Mara Matta]

Il diritto di salvarsi Storie migranti DiMMi 2022, Terre di mezzo, 2023

Due fratelli si abbracciano attraverso le sbarre, piangono, provano a toccarsi. Mohammed è scampato al peggiore naufragio della storia recente del Mediterraneo, ma non ha neppure potuto avvertire la famiglia di essere ancora vivo. Fadi, il fratello, è arrivato a Kalamata, in Grecia, a cercarlo ed è riuscito a vederlo attraverso la recinzione, ma le autorità greche non hanno permesso ai due ragazzi di incontrarsi, così come non hanno fatto niente per aiutare i sopravvissuti del naufragio a contattare le loro famiglie. L’abbraccio di Mohammed e di Fadi attraverso le sbarre è diventata l’immagine struggente di un’umanità che si ritrova, mentre la disumanità trionfa: un’imbarcazione con settecentocinquanta persone a bordo è affondata in uno dei punti più profondi del Mediterraneo e per ore i guardacoste greci e le autorità di frontiera europee sono stati a guardare, non sono intervenuti in loro aiuto, nonostante sapessero della loro presenza e del pericolo che stavano correndo. Nella stiva c’erano cento bambini: si fa fatica a immaginarseli cento bambini che s’inabissano, mentre un motopesca azzurro sprofonda con il suo carico di persone. Le autorità greche hanno addirittura accusato i migranti, le persone su quell’imbarcazione, di non volere essere salvate. Hanno detto che stavano andando in direzione dell’Italia e hanno rifiutato i soccorsi, ma le loro ricostruzioni sono smentite dalle testimonianze dei sopravvissuti e da molte altre evidenze. Per ore le persone su quell’imbarcazione hanno chiesto aiuto, sono state avvistate dalle autorità greche ed europee, ma nessuno e intervenuto per salvarli. Omissione di soccorso. Mentre questo libro va in stampa nel Mediterraneo si è consumato il peggiore naufragio della storia recente, l’ennesimo. E questa volta l’opinione pubblica europea sembra distante, indifferente, completamente anestetizzata, peggio; incattivita, capace di prendersela con le vittime. La conduttrice di un programma d’informazione su una tv greca si è lamentata che tutte le ambulanze del Peloponneso stessero accorrendo a Kalamata, per soccorrere un centinaio di sopravvissuti del naufragio. E questo sembra il sentimento più diffuso: la criminalizzazione delle vittime. I morti sono morti e basta, se la sono andata a cercare. E i vivi, devono scontare di essere sopravvissuti. Questi racconti e questi diari – come l’abbraccio dei due fratelli palestinesi a Kalamata – sono l’umanità che tracima oltre le sbarre, contengono le voci di chi ha attraversato il confine e raccontano un’altra storia, disturbano, dicono chi siamo davvero. E cosi preparano il crollo dei muri e la possibilità che ci sia un futuro.

[dalla prefazione di Annalisa Camilli]


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