La bomba che in un lampo distrusse Hiroshima in una calda mattina di agosto del 1945 fu sganciata da un quadrimotore B-29 dell’aviazione degli Stati Uniti. A differenza di tutte quelle esplose fino a quel momento, non era di tipo convenzionale: era un ordigno atomico, progettato per sprigionare l’energia descritta da Albert Einstein. Era una bomba elementare, con detonazione a proiettile, che oggi molti sarebbero in grado di costruirsi in cantina
. L’energia rilasciata su Hiroshima fu pari a quella di quindicimila tonnellate di tritolo, la temperatura sprigionata superò quella del sole e furono emesse radiazioni mortali che si muovevano alla velocità della luce. Le vittime furono più di 150mila. Tre giorni dopo, sulla città di Nagasaki venne sganciato un ordigno ancora più potente: una sofisticata bomba a implosione costruita intorno a una sfera di plutonio delle dimensioni di una palla da baseball. I morti furono 70mila. In molti hanno sostenuto che la resa del Giappone si sarebbe potuta raggiungere con un dispendio di vite umane molto inferiore, facendo esplodere un ordigno in alto mare o nel porto di Tokyo. Ma lo scopo era terrorizzare quanto più possibile un intero paese, e il modo più sicuro per raggiungerlo era sganciare un’atomica sulla popolazione civile. Fin dal principio dell’era atomica, gli scienziati sapevano che in un futuro abbastanza vicino gli ordigni atomici sarebbero diventati più piccoli e con una potenza distruttiva molto superiore ai ventidue chilotoni di Nagasaki. Erano anche consapevoli del fatto che le nozioni scientifiche necessarie per costruire una bomba si erano già ridotte a un semplice problema di ingegneria: era impossibile frenare la loro diffusione. Entro pochi anni l’umanità si sarebbe trovata di fronte al rischio dell’autodistruzione. Per questo, dopo la resa del Giappone, alcuni scienziati coinvolti in vario modo nella costruzione della bomba – tra cui Albert Einstein, Robert Oppenheimer, Niels Bohr e Leó Szilárd – fondarono la Federation of american scientists (Fas), con lo scopo di spiegare ai leader politici e all’opinione pubblica americana cosa fossero veramente le armi nucleari. All’epoca Washington si cullava nell’illusione che l’America possedesse un grande segreto, e che avrebbe potuto tenersi la bomba solo per sé. I fondatori del Fas non erano d’accordo.
Un equilibrio precario L’avvertimento degli scienziati era molto semplice e diretto. L’intero pianeta, sostenevano, avrebbe avuto molto presto le armi nucleari. Niente più segreti, quindi, e nessuna difesa impenetrabile: era cominciata l’era nucleare. Impossibile tornare indietro. Alcune delle soluzioni proposte allora, oggi fanno sorridere. Einstein, per esempio, invocava la creazione di un governo globale illuminato, con uno stato maggiore formato dai militari dei paesi che fino al giorno prima erano stati nemici, e lo smantellamento volontario degli stati sovrani. Ma i fondatori della Fas non erano solo degli idealisti. Erano spinti da una miscela di coraggio e disperazione e i loro appelli dimostravano l’esistenza di un’angoscia collettiva per il rischio atomico. I segreti delle tecnologie nucleari sono stati svelati molto presto. Grazie anche al contributo – utile, ma non determinante – di un gran numero di spie, sono stati creati degli arsenali nucleari in Unione Sovietica, Gran Bretagna, Francia, Cina e altrove. Come gli scienziati americani avevano previsto, ognuna di queste nazioni ha acquisito la tecnologia per costruire la bomba. Ma per fortuna, sessant’anni dopo, sappiamo come sono andate le cose: l’apocalisse non c’è stata e abbiamo avuto, seppure per le ragioni sbagliate, una sorta di pace nucleare. Proprio quella che era la principale preoccupazione degli scienziati nel 1945, cioè l’assenza di un sistema di difesa, si è rivelata l’unica àncora di salvezza possibile, anche se precaria perché si basa su un continuo gioco al rialzo. Ma il messaggio degli scienziati della Fas resta attuale. L’equilibrio nucleare è solo una risposta provvisoria a una minaccia che esiste ancora, visto che la situazione di fondo non è cambiata: la conoscenza dettagliata del procedimento che porta alla costruzione della bomba è di dominio pubblico, e qualsiasi nazione può procurarsi l’atomica. L’inverno scorso, a Mosca, ho avuto modo di parlare con un veterano della guerra fredda, che oggi occupa un posto di rilievo nella burocrazia nucleare della nuova Russia capitalista. Con il suo completo di velluto, le sopracciglia a cespuglio e il volto impassibile, aveva quasi l’aspetto di un relitto del passato. La sua mente, però, era quella di un uomo del nostro tempo. Dopo aver accusato gli Stati Uniti di non affrontare nel modo giusto il dossier del nucleare iraniano, è passato a parlare di problemi più generali. Il sistema di alleanze sopravvissuto alla guerra fredda, ha spiegato, ha perso gran parte della sua efficacia e non offre particolari garanzie in termini di sicurezza nucleare.
Uranio o plutonio?
Oggi gran parte dei paesi del mondo è di nuovo sensibile al richiamo della bomba e del potere che solo un arsenale atomico può garantire. La tecnologia delle armi nucleari è diventata conveniente, soprattutto per i paesi meno ricchi. Con la bomba atomica ogni nazione riesce a soddisfare le più grandiose ambizioni politiche senza spendere cifre impossibili e andare in rovina. Se lo scopo è intimidire i vicini o farsi rispettare non esiste un sistema più rapido ed economico. Negli ultimi anni tutto è cambiato: le grandi potenze si sono ritrovate con arsenali che non potevano usare e la bomba è diventata l’arma dei poveri. In teoria, l’idea di un mondo in cui il debole diventa più forte e chi è sempre stato forte è costretto a venire a più miti consigli ha in sé un qualche senso di giustizia. Ma dal punto di vista politico si corre il rischio che i nuovi soci del club nucleare si comportino in modo diverso dalle grandi potenze del secondo dopoguerra. E che quindi finiscano per usare davvero la bomba. Ancora più preoccupante, ma altrettanto realistica, è la possibilità che l’atomica cada nelle mani dei jihadisti. Loro, infatti, non hanno nulla da temere perché nessuno può convincerli a venire a patti usando i metodi tradizionali e normalmente efficaci con i paesi sovrani: cioè minacciando di colpire gli obiettivi strategici. Il risultato è che niente può garantire la cosiddetta pace nucleare. Il pericolo si è manifestato per la prima volta negli anni novanta, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e si è mostrato in tutta la sua gravità dopo l’11 settembre. Con le spalle coperte, e alla ricerca di azioni sempre più clamorose, oggi i jihadisti non esiterebbero a far esplodere un ordigno atomico. Se un gruppo terrorista vuole un’atomica, non può certo comprarne una già pronta. Le bombe sono considerate beni di interesse nazionale e strategico, e perciò sono custodite in siti protetti e sorvegliati da corpi militari d’élite. Ma c’è un’alternativa: costruirsi un ordigno da sé. La parte più complessa è la produzione di un combustibile di elevata qualità. Il resto è relativamente facile. Allestire un impianto per la produzione di combustibile nucleare è impensabile, ed è assurdo anche aspettarsi un aiuto dal Pakistan, dall’Iran o da qualsiasi altro stato. Ma non è necessariamente un problema. Il mondo è pieno di materiale fissile pronto per l’uso, e a un gruppo terrorista ne basta una modica quantità. Da qualche parte è sicuramente possibile comprarlo. O rubarlo. A questo punto è utile sapere esattamente che tipo di combustibile serve. Per le normali bombe a fissione, le opzioni possibili sono solo due: plutonio o uranio arricchito. Il plutonio è un elemento artificiale prodotto dall’uranio nei reattori: per separarlo dalle altre scorie basta un procedimento chimico. L’alternativa è l’uranio ad alto arricchimento, o Heu, che contiene più del novanta per cento di isotopo fissile, l’U-235. Dal punto di vista operativo è il combustibile perfetto per una bomba fatta in casa. Durante la lavorazione si presenta come gas liquido, polvere o metallo. È tossico quanto il piombo e, a meno che non se ne ingerisca qualche particella o se ne respiri la polvere, non è pericoloso. Anzi, la sua radioattività è talmente bassa che si può toccare a mani nude e trasportare tranquillamente in uno zainetto: con una schermatura anche leggera può superare qualsiasi rilevatore senza far suonare l’allarme. I lingotti di materiale fissile, però, vanno conservati a distanza l’uno dall’altro. Se infatti si trovano molto vicini a una massa di uranio possono innescare una reazione a catena e quindi delle esplosioni. La massa critica di uranio in grado di scatenare la reazione è inversamente proporzionale al livello di arricchimento: se il materiale è arricchito al venti per cento, ne serve circa una tonnellata, mentre con un arricchimento del novanta per cento ne bastano meno di cinquanta chili. Tutti questi particolari me li ha rivelati un fisico di New York. Quando gli ho chiesto se non temeva che informazioni simili potessero arrivare a dei terroristi, mi ha risposto che le sue presunte rivelazioni erano l’abc del nucleare, cose che si trovano nei libri di scuola. Ma come mettere le mani sul materiale fissile? Forse non è necessario organizzare furti o rapine. Basta sistemarsi in un posto tranquillo, magari a Istanbul, e aspettare che il materiale venga consegnato.
Caos russo La Turchia è il bazar del pianeta, e data la sua vicinanza al Medio Oriente è la meta preferita di chi ha da vendere materiale nucleare. Secondo quanto risulta dalla banca dati dell’università di Salisburgo, nelle vicinanze della capitale turca ci sono stati almeno venti episodi accertati di contrabbando nucleare. Per fare acquisti, tuttavia, la prima cosa da fare è trovare un venditore. Anche se tutto l’Heu esistente è sotto stretta sorveglianza, in molti paesi, a cominciare dalla Russia, lo si può comprare. Con il crollo dell’Unione Sovietica i magazzini in cui si trovavano enormi quantità di uranio arricchito sono rimasti praticamente incustoditi. Ma perché, allora, i terroristi non ne hanno approfittato? Forse non conoscevano la situazione. O forse il controllo sull’ex arsenale nucleare sovietico non era poi così blando come molti credevano. In ogni caso il governo americano è intervenuto rapidamente, cercando di porre rimedio al caos dei primi anni novanta. Nel 1993 hanno preso il via dei programmi di cooperazione con tutti gli stati ex sovietici per impedire che le armi nucleari cadessero nelle mani sbagliate. In realtà, quei progetti si sono ridotti alla concessione di milioni di dollari in aiuti a Mosca. Ma ci sono stati anche interventi importanti. Due in particolare. Il primo, curato dal dipartimento della difesa, ha consentito alla Russia di consolidare, mettere in sicurezza e distruggere un numero consistente di testate nucleari, mentre il secondo ha riguardato la messa in sicurezza delle scorte di uranio arricchito. Gran parte del lavoro è toccato al dipartimento statunitense dell’energia, e in particolare a quei funzionari che avevano esperienza nella gestione delle infrastrutture degli armamenti nucleari. Questo gruppo di persone si è poi organizzato in un’agenzia semi indipendente, la National nuclear safety administration (Nnsa)