Il menù di Natale

Antipasti, primi, secondi e dolci… quali piatti non devono mancare nel menù di Natale? l pranzo di Natale è un vero e proprio rito, molto spesso le tradizioni di una famiglia si ripetono anno dopo anno secondo le specialità del territorio tramandate e raramente ci si discosta.

E’ forse l’unica occasione in cui il menù è più o meno lo stesso di quando chi cucina e mette in tavola era un bambino. Una cucina dei ricordi oltre che della tradizione, un comfort food da preparare con calma, nei giorni precedenti, dedicando un tempo che è esso stesso dono ed amore. Ogni regione ha i suoi piatti  tipici e ogni famiglia i propri ma sui principali non si discute anche se la diffusione di diete vegetariane, vegane, senza glutine ha moltiplicato i piatti da preparare. Primi piatti e dolci sono gli imprescindibili tradizionali, sugli antipasti è consentita qualche libertà in più come pure sui secondi che però per tradizione il giorno di Natale prevedono carne (manzo, vitello, suino, pollo purchè con piatti elaborati e ricchi),dopo l’astensione della Vigilia in cui si mangia esclusivamente pesce.

Un po’ ovunque c’è il brodo: In alternativa pansoti (ravioli ripieni di erbe selvatiche) con la salsa di noci e per secondo cappon magro con scorzonera e salsa verde. A Bologna nel brodo di cappone il giorno di Natale ci finiscono i cappelletti cui far seguire il gran bollito (manzo, vitello, pollo, zampone o cotechino) in salsa verde e friggione ossia il tipico contorno di cipolle macerate nello zucchero e poi stufate nel pomodoro). “Per il Pranzo di Natale, i miei ricordi confermati dalle letture di libri storici di cucina come quelli di Livio Jannattoni riportano come immancabile dopo qualche antipasto di salumi e qualche fritto, la stracciatella romana che credo avesse anche funzione propiziatoria e beneaugurante (a detta di mio nonno almeno). Seguivano i cappelletti alla romana cotti nel brodo di cappone che veniva servito come secondo accompagnato da sale grosso e salsa verde. Quindi a parte contorni vari, fritti, a volte cotolette d’abbacchio sopratutto per i bimbi se presenti, direi che la sacra Trimurti, stracciatella, cappelletti in brodo e Cappone lesso è una costante nei ricordi e nella letteratura. La cena della vigilia è’un discorso a parte perché preceduta da un evento tutto romano che non è nei miei ricordi ma che ho scoperto nelle mie ricerche e cioè il “ Cottio” probabilmente dal latino quot , quotazione. Si trattava dell’acquisto di pesce all’ingrosso ai Mercati Generali e altri mercati. In se, un evento festoso e rumoroso a cui partecipavano ricchi signori, popolane e borghesia affollandosi il 23 e il 24 tra i banchi per acquistare il pesce per la cena del venerdì che seguiva un giorno di effettivo digiuno e astinenza. Era usanza anche lì cominciare con un antipasto spesso di fritti e poi una minestra di cui la più famosa era l’arzilla e broccoli ovviamente oppure il brodo di cefalo. Una nota curiosa era l’uso diffuso di cucinare a Natale l’anguilla, a Roma le cosiddette “ciriole” cioè le anguille di piccole dimensioni pescate nel Tevere. Da notare quindi come la cucina romana facesse uso di pesci ormai scomparsi dall’uso quotidiano come il palombo o ancor più il cefalo, pescato addirittura nel Tevere e che era considerato proprio il pesce delle feste dal popolino”.

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