Archivi Diari, c’erano una volta le feste di Natale

PIEVE SANTO STEFANO – C’era stata la prima neve alla metà di novembre, laggiù nel lager di Przemylz, Polonia; scendeva a faville rade dal cielo giallastro fin dal primo mattino a più d’uno venne da pensare al Natale, un immagine dal senso remoti e nonostante la memoria trabocchi di passato in prigionia ci si attacca al presente

. […] Quella sera al momento di coricarsi, Vallerani mi chiese: -sta ancora nevicando?- e accese il lumino. Ce l’eravamo fatto sul coperchio di una scatola di cromatina, lo stoppino con fili di lana, da una sua cravatta di maglia e al posto dell’olio la margarina ogni volta che ce la davano ne mettevamo da parte un po’ per quell’uso. Poi l’appendevamo ad un chiodo sul travetto di sostegno del castello, tra me e lui, a dividerci quella fioca luce che a nostro parere faceva tanto “capanna”. Mentre lo diceva gli lessi negli occhi che aveva dolci e puri uno struggente pensiero… Certo fantasie di Natale… Quella prima neve, fin dal mattino…

Sai che potremmo fare se per allora non arrivassero i pacchi? Ci facciamo una torta.

Oh Vallerani, come la facciamo una torta? Un po’ per volta, accantoniamo un pezzetto di pane al giorno, e poi lo tostiamo sulla stufetta. Ci procureremo un pezzo di latta e con un chiodino vi faremo tanti buchi, servirà per grattugiarlo e ottenere farina. Con la margarina, e la melassa al posto dello zucchero… un po’ d’acqua, facciamo l’impasto, gli si dà la forma voluta e poi la mettiamo a cuocere.

E con la marmellata di rape, che è rossa -proseguii, ci scriviamo sopra, che ne dici? (basta un cono con un foglietto di carta) ci scriviamo… Buon Natale?

Non rispose, s’era addormentato.

Spensi il lumino e continuai a pensare… però, mi chiedevo, ce l’avremmo fatta in due ad accantonare gli ingredienti necessari? Ecco, bisognerà costituire una società… come hanno fatto quelli per le notizie dei bollettini di guerra… Mazzola aderirà senz’altro e Vallerani potrà suggerirne un altro disposto al piccolo sacrificio quotidiano, qualcuno che si trovi ancora “in carne”…

C’era più di un mese di tempo, però già mi preoccupavo dell’immagazzimento delle scorte, dove conservarle o meglio nasconderle… qui son peggio dei gatti randagi che la notte vanno in giro a scorticare i sacchetti delle immondizie fuori della porta di casa… Mazzola! Lui ha uno zaino da marina con catena e lucchetto, sarà un ripostiglio ideale e le chiavi le affideremo a Vallerani… è marchigiano, persone fidate i marchigiani, gente dabbene.

Che bravo ragazzo il Mazzola! Non si lagna mai, non sente né fame né freddo… Però bisogna che lo sorvegli quando ci dividiamo le razioni della sera; il pane e quel cucchiaio raso di margarina o di melassa, il pezzetto di salame d’oca… lui ne fa un boccone e l’inghiotte con la voracità di una gallina nel becchettare un chicco di grano.

A proposito ora mi viene in mente: stasera, mentre gli altri torneranno a parlare di lenticchie con la salsiccia, di fagioli all’uccelletto e fave col pecorino… dovrò riprendere il discorso sulla torta di Natale, il progetto della società. […] Quella sera ad ogni modo ne parlammo e fu Vallerani a proporci il quarto, uno di Macerata. Vennero a sedersi al mio posto sul castello e tutti assieme confabulammo a lungo sul progetto e i mezzi idonei per realizzarlo, mentre di sotto s’era accesa una discussione (in tono sommesso da cospiratori) sul modo migliore di cuocere il baccalà, se alla vicentina, al forno, col pomodoro o no oppure alla capuccina, che sarebbe in bianco a pezzi, olio, prezzemolo, sale pepe e un po’ d’aglio.

Dal giorno dopo addottai anche il sistema alimentare graduato nei confronti del mio protetto, quando dopo aver esaurito il procedimento della divisione delle razioni: frazione del pane e companatico in cinque porzioni con l’uso di bilancette di nostra manifattura, in alcuni casi addottando il procedimento della lotteria con i bigliettini accartocciati, contenenti ciascuno il nome da estrarre a turno da uno di noi bendato e tutto ciò per attribuire esclusivamente alla sorte l’assegnazione di una razione di pane all’uno invece che all’altro, una razione con più mollica o più crosta, con più o meno briciole per raggiungere il peso comparativo…

Quella sera Vallerani m tornò a dire: -Allora la facciamo questa torta? Mancano venti giorni a Natale, io sto già racimolando la mia parte e anche Malagrande (quello di Macerata) datti da fare e… per quella di Mazzola provvedi tu stesso, ché lui non sarà mai capace-. Così feci, e da quel giorno mi tenne occupato l’idea della torta, ciò che simboleggiava per noi.

-Per l’impasto, però- disse Mazzola -ci vorrebbe almeno un uovo ché altrimenti non si otterrà l’amalgama necessaria-. Si fecero esperimenti per montare la margarina, funzionava; ad un certo punto ricordai le uova promesse dalla polacca e ricercai l’amico che me ne aveva parlato… Mi ascoltò serissimo e mi promise che se ne sarebbe occupato ricostituendo “i contatti necessari…”.

Non ci credevo più che tanto, e invece due giorni prima di Natale venne a cercarmi e portò l’uovo. E così facemmo la torta, ci scrissi sopra Buon Natale e la mettemmo a cuocere. Era una meraviglia! Noi quattro ci alternavamo vicino alla stufa, attenti che non si bruciasse, e la sera della vigilia era pronta. Avremmo voluto fosse una sorpresa ché, seppure gli altri non potessero godere (s’era in trentasei nella baracca) ce li avrebbe comunque accomunati spiritualmente, anche solo partecipando da osservatori.

Ma l’odore, già dopo mezz’ora di cottura ci tradì, si stabilì in quei pochi metri di spazio un andirivieni continuo perfino dalle altre baracche a visitarci, a inspirare l’aroma seducente che evocava momenti remoti, a complimentarsi con noi…

-Ma non la mangiamo mica stasera, vero?- disse Malgrande, domani è il giorno di Natale.

Fummo d’accordo e si prospettò il problema di riporla in luogo sicuro.

-Sopra la porta d’ingresso- ci indicò Vallerani -l’unico spazio libero da castelli-.

Fu presto fatto: prendemmo due tavolette, le collegammo con lacci da scarpe costituendo il fondo sul quale deporla, quindi…

-Nessuno qui ha un chiodo?– e subito ci venne dato il chiodo; lo attaccammo bene in alto sopra la porta ai limiti del soffitto e con un paio di cinghie da pantaloni (per una notte se ne poteva fare a meno) assicurammo al chiodo le tavolette con la torta.

Quella notte si parlò poco, il torinese devoto propose di cantare “tu scendi dalle stelle”.

Poi fu silenzio. Tra un’uscita e la successiva per recarsi alle latrine vegliavamo di turno la nostra creatura.

Ogni tanto mi prendeva il sonno, ma Vallerani la poteva sorvegliare… lui certamente sarà sveglio mi dicevo nel momento in cui mi sentivo chiudere gli occhi… Malgrande penserà lo stesso, certo, ché l’unico a dormire era sempre Mazzola, naturalmente, forse ognuno di noi sognava la torta, mentre credeva di essere sveglio. Fu Vallarani al mattino dopo a lanciare l’urlo: -non c’è più la torta!-. Erano rimaste le tavolette e le cinghie penzoloni.

A Mazzola vennero le lacrime, a me, si colmò l’animo di amarezza. Vallerani, dopo l’urlo non parlò più e invece Malgrande si mise a sacramentare… si proponeva di prendere per il bavero ognuno degli astanti per estorcere la confessione al colpevole. Il sospetto scese tra di noi contaminandoci vicendevolmente, ché nessuno credeva all’innocenza dell’altro. Non si venne mai a conoscere l’identità del responsabile.

Un amaro Natale al Lager di Przemylz, Polonia.

Da questo testo di un anonimo conservato nell’Archivio dei diari, emerge la potenza della solidarietà umana anche nelle circostanze più difficili. Nonostante le avversità, i protagonisti si sforzano di mantenere viva la fiamma della normalità e della festività, cercando di condividere un momento speciale come la preparazione di una torta di Natale.

In questo periodo di festa, vogliamo dedicare un pensiero alla memoria e alla forza interiore che emerge dalle pagine dei diari. Attraverso i racconti, abbiamo imparato che anche nelle situazioni più estreme, la capacità di sperare e condividere piccoli gesti di umanità può mantenere viva la nostra dignità.

In questo Natale, ispiriamoci alle storie di chi, nonostante le avversità, ha cercato la luce nelle piccole cose. Che la memoria degli eventi passati ci guidi a coltivare la speranza e a condividere la semplicità di certi momenti.

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