L’Autorità della Privacy ha sanzionato Eni Plenitude per aver stipulato contratti senza il consenso degli utenti (1). L’importo della sanzione è di 6 milioni e mezzo di euro a fronte di un campione esaminato in cui, su 747 contratti stipulati in una settimana, 657 sono risultati illeciti. L’azienda energetica ha fatto sapere di aver seguito le regole del caso e che presenterà ricorso. Non avevamo dubbi… sul ricorso.
Il numero di illeciti è impressionante, ma non ci stupisce più di tanto. Ricordiamo l’andazzo medio di vicende del genere. Il gestore viene cuccato e viene sanzionato. Poi fa ricorso e, salvo rari casi in cui si conferma il tutto o lo stesso gestore risulta essere innocente, l’importo della sanzione si ridimensiona. Tutti contenti, giustizia è fatta. E tutto riparte da capo. La realtà per gli utenti di questi servizi e per il mercato è invece un’altra. Chiunque fa business vendendo questi servizi utilizza liste di potenziali utenti ottenute in modo illecito. Spesso si tratta di utenti che hanno anche dichiarato sullo specifico “Registro delle opposizioni” che non vogliono ricevere sollecitazioni commerciali.
Le proposte alle vittime sono le più fantasmagoriche e presentate come ottenibili solo entro un limite temporale molto risicato, per cui alcuni ci cascano. Altri, ignari, magari rispondono “sì” a domande tipo “ti chiami Mario Rossi?” e questo “sì” viene “montato” in un vocale in cui si trasforma in assenso ad un contratto. Altri ancora non ci cascano in nessun modo, ma si ritrovano lo stesso il contratto cambiato, senza la propria firma o con uno scarabocchio che mima il proprio assenso. Tutti sanno che funziona così. Tra questi tutti ci sono le Autorità di controllo, i legislatori, le aziende e, in parte, anche i media… e nessuno fa niente per cambiare la situazione. Le Autorità hanno strumenti limitati, soprattutto gli importi e le tipologie di sanzioni che sono tutt’altro che scoraggianti. I legislatori, proni alle grandi aziende per vari motivi (Eni, poi, vuoi mettere…) non modificano le norme ché ritengono anche troppo punitive nei confronti dei propri paladini industriali.
I media che tentennano nel dare rilievo a certe notizie perché i propri spazi pubblicitari sono pieni di inserti di queste aziende. Morale: le aziende pagano gli importi per cui vengono sanzionate, tanto si tratta di costi (anche al netto di riduzioni grazie ai ricorsi) sempre inferiori al business che hanno incassato con le loro iniziative pur illecite. I consumatori… cornuti e mazziati. Avanti il prossimo. Rimedi? Visto che l’onestà non è merce del nostro mercato, è pensabile solo che le sanzioni siano tali da scoraggiare anche i più tenaci. Ci immaginiamo, per esempio, che se un’azienda – come nel caso odierno – fa più di 500 contratti illeciti alla settimana, la conseguenza sarebbe la sua chiusura, mettendo all’asta dei suoi concorrenti la clientela che ha acquisito in qualunque modo. Immaginiamo la bufera: sindacati, politici, associazioni industriali, editorialisti di questo o quell’altro media con accanto un inserto pubblicitario della stessa azienda… tanto, chi se ne frega, i consumatori non hanno nessun potere e al massimo sono molto parzialmente rappresentati da associazioni che lo stesso Stato paga perché esistano e far credere che esistono i diritti.