Sul lato della casa accanto al fontanile di Valsavignone c’è una lapide che ricorda che li c’era un ospedale fondato nel 1515 da Francesco Comandi (era il nipote di Simone Comandi padre di Comando Comandi e nonno di Filippo da Valsavignone che conosciamo bene). L’ospedale di S Giuseppe era destinato al rifugio dei pellegrini che transitavano per la strada che da secoli portava in Romagna ed apparteneva alla Compagnia del Bigallo di Firenze. Nel 1603 era gestito da Francesco Angeloni.
Quando il 12 novembre di quell’anno un certo Batista di Lazzero da Valsavignone denunciò al vicario di Pieve per stregoneria e plurimo infaticidio Lucrezia Verzaia, detta la Maiola. Lucrezia era una vedova che dopo aver trascorso una vita difficile era “emigrata” dal suo paese (Maiolo nel territorio di Urbino). Era vissuta sette anni a Castellare, quindi un anno a Cirignone e, infine, sei anni come custode presso l’Ospedale di Valsavignone. Lazzero accusava Lucrezia di averlo costretto, attraverso arti magiche, a sposare la moglie contro la sua volontà. Lucrezia poteva destare sospetti perché era un’esperta di erbe ed era una “guaritrice” curava, a modo suo, chi a lei si rivolgeva, infine era malvista al Savignone essendo “una straniera”. Lucrezia era la custode dell’ospedale, tra lei e Francesco Angeloni non correva “buon sangue” Lucrezia denuncierà Francesco accusandolo di essersi appropriato di alcuni oggetti dell’ospedale. Lucrezia viene arrestata, interrogata e dopo torturata. Da prima insiste sulla sua innocenza ma dopo, anche ricattata promettendole che avrebbe rivisto suo figlio, l’unico che l’era rimasto, ammette le “sue colpe”. E’ interessante conoscere le molte credenze sui diavoli, le streghe e annessi che circolavano al Savignone in quel periodo. Lucrezia entra in dettagli incredibili a volte quasi a “luci rosse”. Per chi s’interessa del Savignone è anche un’opportunità di avere un quadro della difficile vita in quel periodo, della povertà, dell’ignoranza.. Sempre sotto tortura Lucrezia coinvolge altre tre donne una di Montenero e due della Pieve. Si procede ad un confronto dove si parla d’incontri di diavoli e cose simili. Dopo accusa altre donne tra cui una diciottenne di Fratelle che nel fattempo si era allontanata temendo di essere catturata. La ragazza di nome Santa viene rintracciata a Rofelle. Sotto tortura, ammette di aver partecipato a dei Sabba e di “aver guastato dei bambini”. Non finisce qui, tra gli accusati di Lucrezia c’è anche un frate… La storia è lunga e molto dettagliata. Saltando al finale Lucrezia non finirà sul rogo. Trattandosi di un caso di stregoneria il vicario passa gli atti alla Santa Inquisizione spetta a lei decidere la condanna. Contrariamente a quanto si crede la Santa Inquisizione nel ‘600 era divenuta restia a comminare pene capitali, lo si capisce anche dal fatto che l’inquisitore cerca quasi di far ritrattare Lucrezia dalle sue confessioni e si preoccupa che “dal popolo non sia fatto del male” a Lucrezia durante l’abiura o la fustigazione. Infatti la condanna di Lucrezia consisterà nella pubblica abiura, la fustigazione e il carcere perpetuo. Dobbiamo ringraziare veramente molto Sonia Savini l’autrice di questa appassionante ricerca (tratta dai verbali del processo, presenti nell’archivio storico di Pieve) e che consiglio vivamente di leggere.
Per favore fatemi sapere con i vostri commenti e i “mi piace” se l’articolo vi ha interessato. Potremmo approfondire la vicenda di Lucrezia e dell’Ospedale di San Giuseppe. Condividetelo con chi conosce il Savignone. Grazie Mauro.