PIEVE SANTO STEFANO – È trascorso quasi un mese dal Premio Pieve, e desideriamo cogliere l’occasione per fare il punto sull’edizione 2024, iniziando dalla vincitrice, Albertina Castellazzi. Ecco la motivazione espressa dalla Giuria nazionale:
Nata a Milano nel 1937, la vita dell’autrice inizia in salita. Nel 1941, quando ha solo quattro anni, muore la madre e Albertina resta con il padre e tre sorelle a far fronte al difficile periodo della Seconda guerra mondiale. Il padre è un sottufficiale e non può occuparsi da solo delle figlie, che vengono così mandate in collegio, dalle Orsoline a Modena e poi a Ligorzano, in uno stabile che dovranno condividere con gli occupanti tedeschi.Albertina racconta le pieghe della guerra civile con uno stile assolutamente personale, di una precisione chirurgica, fatto di flash fulminei e dettagli ad alta definizione. Memorabile la pagina che descrive senza eufemismi l’uccisione degli zii dopo l’armistizio perché ritenuti collaboratori dei nazisti. La fine della guerra vede il ritorno delle figlie in una Milano dove mancava la luce, il cibo, la stoffa per i vestiti, ma è anche una città alle soglie di una grandissima trasformazione.In questa straordinaria memoria, che ha lo stesso passo di un romanzo di formazione, lo sguardo di Albertina sul padre è di particolare interesse. Lui è volitivo, perentorio, un uomo forte che impone regole ferree ma non riesce a tenere unita la famiglia, che piano piano si sgretola. La sorella maggiore, Elisabetta, scappa, mentre Piera, malata di depressione, si suicida nel 1956. Albertina, che soffre di episodi di epilessia, stenta negli studi e sembra destinata a un ruolo marginale, a lasciare la scuola per custodire la casa. Ma a quella gabbia si ribella: ama leggere e scrivere, e anche grazie alla forza che trae dall’amore per i libri, lotta per ottenere un diploma magistrale per insegnare alla materna. Questo impiego sarà il primo passo di un’emancipazione che passa anche per la morte del padre, nel 1958, e che tesse un legame strettissimo con la sorella che le rimane accanto.“Cominciammo così la nostra vita di donne libere, io avevo 21 anni, Anna 24.” La giuria ha deciso di assegnare una menzione speciale a un’altra autobiografia, Ricordi di un nomade, di Giovanni Stefanolo (San Marzano Oliveto, Asti, 1880-1940), il racconto picaresco di una vita sempre in movimento. Primogenito di quattro figli, sembra portato allo studio e il padre decide di mandarlo in collegio ad Asti. Ma Giovanni è un personaggio a metà tra Pinocchio e Giamburrasca e naturalmente non riesce a stare alle regole di disciplina del collegio. Dalla prima fuga, inizia un movimento continuo tra luoghi e lavori che lo porterà a fare il calzolaio, il pasticcere, il muratore, il cameriere, il contabile, l’ufficiale dell’esercito, l’imprenditore. Da Asti si sposta a Nizza, poi in Argentina e in Brasile, in un vortice di tentativi, spesso fallimentari, di trovare un impiego soddisfacente e redditizio. Intanto si sposa, ha due figli, risponde alla chiamata della Patria quando scoppia la Prima guerra mondiale. Ma riesce a tornare anche dalle trincee per ricominciare quella “vita battagliata” che racconta con tanta vivezza.