Città di Castello (Perugia) La ‘Pala di Santa Cecilia’, sfuggita miracolosamente a napoleonici e nazisti, era creduta opera di bottega. Oggi il restauro scioglie ufficialmente i dubbi a favore del celebre pittore rinascimentale. Un nuovo Signorelli: il restauro integrale della Pala di Santa Cecilia della Pinacoteca comunale di Città di Castello rivela la mano prevalente di Luca Signorelli.
L’intervento, che ha messo in luce l’attribuzione, finanziato dall’Università E Campus tramite Art Bonus. Fu destinata al Louvre, per volere del primo direttore Vivant Denon, uomo di fiducia di Napoleone, e solo le sue dimensioni (due metri per tre) ne impedirono la partenza. La predella fu invece ritrovata nel 1945 fra i capolavori destinati al museo immaginario di Hitler. È la cosiddetta ‘Pala di Santa Cecilia’ della Pinacoteca comunale di Città di Castello, gemma offuscata dalla patina del tempo, da forti traumi e da pesanti ridipinture, che avevano portato i critici a ritenerla in modo generico un’opera di scuola signorelliana. L’attribuzione sarà significativamente rivista sabato 28 dicembre 2024 in occasione della presentazione del restauro integrale della pala, nella pinacoteca cinquecentesca di Città di Castello, alla presenza di Tom Henry, Professore Emerito di Kent University e massimo esperto di Luca Signorelli, che ufficialmente proporrà la nuova autografia “Luca Signorelli e Bottega”. L’intervento, reso possibile da Università Ecampus tramite Art Bonus, su ideazione del ricercatore Giuseppe Sterparelli, è stato condotto da Paolo Pettinari sulla pellicola pittorica, Marco Santi sul supporto ligneo e Francesca Rosi nelle indagini scientifiche, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria. Un restauro multidisciplinare che ha coinvolto anche CNR e Università di Perugia e che si è rivelato determinate per la definitiva attribuzione al pittore rinascimentale, sconfessando quanto scritto nel 1923 da Mario Salmi, il quale aveva associato l’opera ad un mediocre pittore eugubino, tale Pietro Baldinacci, influenzando gran parte della critica successiva. Oggi la pulitura rende invece limpida la lettura, così come l’azzurro del cielo riemerso letteralmente dalla coltre opaca dello sfondo; Santa Cecilia ha riacceso il suo sguardo, lontanissimo dai tratti dimessi che la ricoprivano, ed è stato recuperato il San Francesco, le cui stimmate erano segnate da un vero squarcio sul supporto ligneo. La Vergine ha ritrovato il tipico manto blu notte delle Madonne di Signorelli, senza le calzature posticce che le erano state aggiunte, mentre il Bambino è all’aspetto originario, libero dalle giustapposizioni tarde. Il suggello di questa storica operazione si coglie invece nel lembo della veste di Santa Caterina, dove riaffiora fascinosamente una firma nascosta con il nome del pittore (‘LV-CA’) e l’anno di esecuzione, ovvero il 1516. Un’intuizione che ebbe dieci anni fa lo studioso umbro Raffaele Caracciolo, ma che solo ora, con l’analisi dei materiali utilizzati, viene confermata. La Pala di Santa Cecilia, nella pinacoteca tifernate dal 1912 è dunque un’opera ritrovata, specchio della feconda stagione di Luca Signorelli a Città di Castello, dove esordì, come allievo di Piero della Francesca, e dove perfezionò, all’ombra della famiglia Vitelli, la “bizzarra e capricciosa invenzione” che gli ascrisse Giorgio Vasari.
Luca Secondi, sindaco di Città di Castello, e Michela Botteghi, assessore alla Cultura “Abbiamo l’onore di restituire ai contemporanei un’opera di pregiatissima fattura, imponente per tecnica e per dimensioni, in cui lo stile e la maestria di Signorelli sono apprezzabili sia nell’insieme che in particolari di rara bellezza. Erano secoli che la pala di Santa Cecilia aveva perso il suo aspetto originale. Oggi possiamo vederla come appariva ai nostri concittadini del Cinquecento: un privilegio che non accade spesso e per il quale ringraziamo l’Università E Campus, che ha finanziato il progetto di restauro. Città di Castello è una città che nel corso del tempo deve molto al mecenatismo grazie al quale ospitiamo nei nostri musei opere di Signorelli e Raffaello, De Chirico, Pistoletto. È importante che questo proficuo rapporto tra pubblico e privato per la valorizzazione dei beni culturali continui anche in futuro. Per oltre un anno tante persone hanno lavorato quasi quotidianamente per il recupero della Pala di Santa Cecilia: ringraziamo Tom Henry che ha visto l’impronta di Signorelli nascosta dietro i segni del tempo, la Soprintendenza Archeologia, Beni culturali e Paesaggio, che ha seguito il restauro in modo continuativo, e il restauratore Paolo Pettinari. Il cantiere del restauro allestito in Pinacoteca ha consentito di seguire in tempo reale il difficile e delicato processo di disvelamento, attraverso i complessi atti critici che hanno permesso di riportare la pala al suo splendore originario e di condividere il percorso con i visitatori, le scuole e la cittadinanza”.
Tom Henry (Kent University, autore ‘The life and art of Luca Signorelli’ (Yale, 2012, ed. italiana Petruzzi, 2014):“Esistono molti modi di celebrare un artista e solitamente i restauri oltre alle mostre sono gli strumenti migliori. Questo intervento permette di valorizzare non solo la Pala di Santa Cecilia, ma anche di ridare la giusta attenzione alla tarda attività di Luca Signorelli, che si rivela cruciale per capirne veramente il percorso e la storia. E il lavoro di Signorelli a Città di Castello riveste un ruolo di primaria importanza, anche per la formazione del giovane Raffaello”.
Francesco Pietro Polidori (Università Ecampus, mecenate dell’operazione tramite Art Bonus):“La nostra Università, come naturale sede di promozione del sapere, si è subito prestata a questa operazione, valevole anche sotto il profilo dell’attrazione turistica del territorio. In questo senso abbiamo seguito idealmente l’esempio di un nostro illustre concittadino, Alberto Burri, che rese possibile il restauro degli affreschi di Luca Signorelli a Morra, nel nostro comprensorio, esattamente cinquant’anni fa.”