Il Canale di Dionisio

C’è un punto in Calabria dove la terra si stringe, si assottiglia, come se volesse farsi ponte tra due mari e poi ci ripensa. È l’istmo di Catanzaro, il collo sottile d’Italia, dove il Tirreno e lo Ionio si guardano da vicino, separati appena da una trentina di chilometri e, nel punto più stretto, da una valle larga appena due.

Un battito d’ali per un’aquila, un’idea fissa per uomini di potere.Dionisio I di Siracusa, che di idee fisse ne aveva parecchie, si mise in testa di scavare qui un canale. Era il IV secolo avanti Cristo e il tiranno vedeva la Calabria come un’isola che non c’era ancora, un avamposto siciliano in terraferma. Un canale avrebbe permesso di tagliare fuori gli avversari, controllare i commerci, spostare le navi come pezzi su una scacchiera. Strategia, geopolitica, potere. Ma anche sogno e ambizione. E come spesso accade ai sogni troppo grandi, rimase sulla carta.Strabone racconta che Dionisio fece costruire un vallo a Scillezio, l’odierna Squillace, per difendere i suoi domini dai Lucani. Ma un vallo non è un canale, e scavare un passaggio da mare a mare sarebbe stato come voler dividere l’acqua con un coltello. L’istmo non era sabbia da spostare a piacimento, ma colline e terra dura. Le città della Magna Grecia non avrebbero mai lasciato che il tiranno si prendesse anche quello che la natura aveva deciso di lasciare unito. Così, tra guerre con Cartagine e battaglie con gli italici, Dionisio lasciò il suo sogno a metà, e il canale rimase una storia non scritta.Qualche secolo dopo, sempre lì, i Romani usarono l’istmo in modo ben più concreto. Spartaco, il gladiatore ribelle, tentava di scappare in Sicilia con il suo esercito di schiavi in cerca di libertà., dopo aver negato il passaggio dallo stretto di Messina . Le legioni gli sbarrarono la strada per la risalita. Da mare a mare costruirono un enorme vallo, con un fossato tanto largo e profondo da rendere impossibile il passaggio. Spartaco provò a forzare il blocco, ma la sua forza si sgretolava a ogni battaglia. Alla fine passò, sì, ma era già un uomo sconfitto.Poi arrivarono altri secoli, altre guerre, altre idee. E nel Novecento, l’ombra del sogno di Dionisio si allungò di nuovo. L’idea del canale tornò nei progetti del regime fascista. Forse più per nostalgia dell’antica grandezza che per una reale necessità. Si studiò, si discusse, ma alla fine tutto restò sulla carta. Troppo difficile, troppo costoso, troppo inutile. Non era Panama, non era Suez. La Calabria rimase attaccata al resto d’Italia, e la guerra spazzò via ogni residuo di quel sogno.E così oggi, Sicilia e Calabria, non sono un arcipelago , ma esiste un legame più sottile e più forte: la lingua, la cultura, il modo di parlare e di vivere. Il siciliano e le lingue calabresi si assomigliano come due fratelli separati alla nascita, e forse è stato meglio così. Le navi passano altrove, ma le parole e le storie viaggiano senza bisogno d’acqua.Nonno Billa, che la sapeva lunga. Lui la chiamava sempre “le Calabrie”, al plurale. Diceva che erano troppo lunghe per essere una sola. E magari aveva ragione. Magari, nei secoli, qualcuno ci ha pensato davvero a spezzarle in due. Ma alla fine, la Calabria è rimasta intera. E il canale di Dionisio? Solo un’eco lontana, una di quelle storie che la terra ascolta e poi lascia svanire nel vento.Strambone “memorie storiche” frammenti rinvenuti datati 7 a. C.

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