
La mera prosecuzione dell’attività lavorativa non è sufficiente a dimostrare il consenso alla proroga (Tribunale Verona, sentenza n. 612/2024) La questione della proroga del contratto a tempo determinato rappresenta un tema di una certa rilevanza nel diritto del lavoro italiano, in quanto si pone al crocevia tra la necessità di flessibilità delle imprese e la tutela dei diritti dei lavoratori.
La normativa in materia ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, cercando di bilanciare questi interessi contrastanti. Il caso in esame, affrontato dal Tribunale di Verona, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 612/2024 (testo in calce), offre un’interessante prospettiva su come i tribunali interpretino le norme relative alla proroga dei contratti a termine, in particolare – ed è questo l’elemento di particolare interesse di questa sentenza – quando si tratta di valutare il consenso del lavoratore e le conseguenze della prosecuzione del rapporto oltre la scadenza inizialmente pattuita. Nel caso specifico, il punto centrale della controversia riguardava la trasformazione di un contratto a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La lavoratrice, aveva stipulato un contratto a termine con una azienda vitivinicola, con scadenza il 30 settembre 2023. Il rapporto di lavoro era poi proseguito di fatto fino al 29 dicembre 2023, quando il datore di lavoro aveva comunicato verbalmente la cessazione del rapporto con effetto dal 31 dicembre 2023. Il Tribunale di Verona ha affrontato la questione fondamentale se tale prosecuzione dell’attività lavorativa potesse essere considerata come una proroga tacita del contratto a termine o se, invece, dovesse essere interpretata alla luce della disciplina prevista dall’
Un aspetto nodale emerso dalla sentenza e su cui si era concentrata la difesa della lavoratrice riguardava la valutazione del consenso del lavoratore alla proroga. Il giudice ha sottolineato, così accogliendo la tesi difensiva della ricorrente, che la mera prosecuzione dell’attività lavorativa oltre la scadenza del termine non può essere automaticamente interpretata come accettazione tacita di una proroga. Questo principio è di particolare importanza, in quanto mette in discussione l’interpretazione tradizionale secondo cui il comportamento concludente del lavoratore (ovvero continuare a lavorare e percepire il relativo stipendio) sia sufficiente a dimostrare il consenso alla proroga. caso specifico, il Tribunale ha dato particolare rilevanza al fatto che la lavoratrice si fosse espressamente rifiutata di sottoscrivere un accordo di proroga presentatole dall’azienda. Come evidenziato nella sentenza, la mancata sottoscrizione o, meglio, il rifiuto di sottoscrivere tale documento è stata considerata un elemento determinante per escludere il consenso alla proroga:”Proprio tenendo conto di tutte le circostanze del caso in esame sopra delineate – non ultima la mancata sottoscrizione del doc. 5 res. (per il quale manca la prova che la lavoratrice fosse in possesso di quella “bozza” non sottoscritta dalle parti, non bastando a tal fine che la lavoratrice potesse aver semplicemente ‘visto’ in qualche occasione quel documento rifiutandosi di sottoscriverlo, come indicato a pag. 10 delle note di parte ricorrente) – non pare possibile sostenere che il consenso della lavoratrice alla proroga fosse stato espresso per fatti concludenti, vale a dire mediante il comportamento materiale consistente nella prosecuzione della prestazione lavorativa conformemente a quanto richiesto dal datore di lavoro.”
Questa interpretazione del Tribunale di Verona si allinea con quanto già affermato dal Tribunale di Civitavecchia nella sentenza n. 220/2021, che aveva affrontato un caso simile. In entrambe le situazioni, il rifiuto esplicito del lavoratore di firmare un accordo di proroga è stato considerato un elemento determinante per escludere il consenso alla proroga stessa.
La sentenza prosegue quindi e di conseguenza con l’applicazione dell’art. 22 del D.Lgs. n. 81/2015, norma che, come è noto, disciplina specificamente il caso della continuazione del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine, prevedendo conseguenze precise. In particolare, la norma prevede:
- Una maggiorazione retributiva per il lavoratore in caso di prosecuzione del rapporto oltre la scadenza (20% per i primi dieci giorni, 40% per i giorni successivi).
- La trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato se la prosecuzione supera determinati limiti temporali (30 giorni per contratti inferiori a 6 mesi, 50 giorni negli altri casi).
- Nel caso in esame, essendo il rapporto continuato ben oltre i 50 giorni dalla scadenza originaria, il Tribunale ha dichiarato la trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato a partire dal 20 novembre 2023. Sotto il profilo delle prove inserite nel processo, il giudice ha ritenuto irrilevante il fatto che l’azienda avesse effettuato la comunicazione obbligatoria al centro per l’impiego indicando la proroga del contratto. Questo aspetto è importante perché sottolinea che gli atti unilaterali del datore di lavoro, come le comunicazioni agli enti o l’indicazione della proroga nelle buste paga – tutti documenti presentati dall’azienda per sostenere che la lavoratrice fosse consapevole e in accordo con la proroga del rapporto – non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di un valido accordo di proroga in assenza del consenso del lavoratore. Inoltre, la sentenza mette in luce l’importanza di una corretta specificazione delle ragioni giustificatrici della proroga, come previsto dal combinato disposto degli
21 co. 1° del D.Lgs. 81/2015. Nel caso specifico, il Tribunale ha rilevato che le ragioni addotte dall’azienda per la proroga non fossero coerenti con le mansioni effettivamente svolte dalla lavoratrice, come emerso dalle prove documentali presentate dalla sua difesa (chat WhatsApp, post su LinkedIn, ecc.). Recenti interventi normativi, come il Decreto Milleproroghe, hanno esteso la possibilità di individuare causali per proroghe e rinnovi, sottolineando l’importanza di causali precise per evitare la nullità del contratto3. Questo rafforza ulteriormente l’esigenza di un consenso chiaro e di ragioni giustificatrici valide per ogni proroga. In conclusione, questa sentenza del Tribunale di Verona rappresenta un importante – e per ora, rarissimo – precedente nell’interpretazione della disciplina dei contratti a termine. Essa ribadisce la necessità di una chiara manifestazione di volontà delle parti – e in particolare del lavoratore – per la proroga di un contratto a tempo determinato e valorizza la tutela prevista dall’art. 22 del D.Lgs. n. 81/2015 in caso di prosecuzione del rapporto oltre la scadenza. La decisione invita così le aziende a una maggiore cautela nella gestione dei contratti a termine, sottolineando l’importanza di formalizzare adeguatamente le proroghe e di specificare correttamente le ragioni giustificatrici. Allo stesso tempo, offre ai lavoratori uno strumento di tutela contro possibili abusi nell’utilizzo dei contratti a termine, riaffermando il principio secondo cui la mera prosecuzione dell’attività lavorativa non è sufficiente a dimostrare il consenso alla proroga. Questa sentenza si inserisce in un più ampio dibattito sulla flessibilità del mercato del lavoro e sull’equilibrio tra le esigenze di flessibilità delle imprese e la stabilità occupazionale dei lavoratori. In un contesto economico in continua evoluzione, sarà interessante osservare come la giurisprudenza e il legislatore continueranno a bilanciare questi interessi contrastanti, cercando di garantire sia la tutela dei lavoratori sia la competitività delle imprese.